C’è una volta… il 14 Febbraio 2013, One Billion Rising: anche qui c’era di mezzo un ballo, solo che non si trattava di un ballo per essere scelte, ma di un ballo per scegliere, non era questione di prìncipi, ma di princìpi… Le donne e gli uomini che vi hanno partecipato non dovevano dimostrare qualcosa a qualcuno, ma volevano semplicemente esser-ci… Cosa significa “esser-ci”?
Capita che le nostre azioni non siano sorrette da scelte autentiche, che dentro i nostri gesti non si disegnino speranze, ma si consumino (e ci consumino) riti meccanici chiusi in ricadute pratiche immediate. Ci siamo cioè socialmente abituati alla strettoia dello scopo utilitaristico, e diseducati all’orizzonte del significato… Il niente del “nessuno fa niente per niente” è un terreno fertile anche per la violenza: dove non c’è il tempo, lo spazio, il modo, di dare senso a se stessi e agli altri, la dimensione del possesso diviene l’unica, fragilissima, via di “soddisfare” i propri bisogni identitari e relazionali… Il problema è proprio questo: tra la tragedia (spesso annunciata) e l’opacità del quotidiano, c’è tutta la banalità del male: una miriade di insensatezze e connivenze culturalmente nutrite. E’ facile dire “no” di fronte a una vita stroncata, ma chiediamoci seriamente quanto spazio e dignità sappiamo dare alla nostra libertà e a quella di un figlio/a, allievo/a, fidanzato/a, marito/moglie… Riflettiamo su quanto l’idea mitica della “femminilità” oscilli ancora pericolosamente e stupidamente tra il modello-Mulino Bianco e il modello-Playboy, tra l’accudimento e la provocazione, come se l’ ESSERE DONNA si riducesse comunque a un compiacere di vario tipo i bisogni degli altri.
Riflettiamo, dulcis in fundo, sulle parole che rendono questi schemi-aspettative culturali: l’innocuo desiderio di una mamma in attesa di avere una figlia femmina “così te la vesti come vuoi”; la normale gelosia del povero padre destinato (nel migliore dei casi) a mandare giu’ bocconi amari durante l’adolescenza della figlia ormai cresciuta, che magari, nel frattempo, avrà pure trovato un ragazzo innamorato, molto innamorato, che le dice come vestirsi! Che ragazza fortunata! Oppure pensiamo alla bonaria indulgenza di un’espressione come “scappatella”, di contro alla pesantezza di epiteti che (guarda caso) non contemplano nemmeno la forma maschile! Imparare a esprimersi e ad accettare l’espressione dell’altro, chiamare le cose col loro nome, eventualmente inventando nuove parole se quelle che abbiamo non bastano o non sono piu’ adeguate, significa proteggersi dalla logica del possesso, in tutte le sue forme: da quelle culturalmente ammantate di paternalistica benevolenza, a quelle piu’ brute.
Ballare insieme allora, è stato intanto utile a darci reciprocamente senso e dignità, a riconoscerci in quanto esseri umani, a prescindere dal potere sociale esercitato; a segnare e sognare col nostro corpo la possibilità dell’espressione e dell’incontro, opposti alla censura esistenziale e al possesso. La bacchetta di una fatina che ci concia per le feste e l’infatuazione di un principe non cambieranno la Storia: ma il 14 Febbraio 2013 nelle piazze abbiamo tutti lasciato un pezzo di gioiosa consapevolezza, e, ne sono sicura, saremo NOI a tornare a riprendercela.