Si ritiene vero solo quello che attraversa uno schermo televisivo, ciò che viene messo in circolo nella moda. Per moda non intendo assolutamente qualcosa di ristretto e di relegato al vestiario, ma, al contrario, qualcosa che clona la maniera di esistere di ciascuno attraverso un evento mediatico che si trasforma in uno stile di vita per un certo tempo.
Il femminicidio è una realtà oppure un evento mediatico? Il femminicidio è l’uno e l’altro. Allora perché non se ne parlava prima, anzi si taceva come si tace adesso per certe cose altrettanto importanti, ma di cui non se ne sa nulla?
Perché non importa a nessuno delle tragedie umane, ma solo delle mode: il femminicidio mediatico è qualcosa di diverso, si tratta di un oggetto di consumo che si scambia, ovunque, e si propaga come un fantasma imposto dal potere dei mezzi di pseudoinformazione di massa. Il femminicidio nella realtà è un dramma della donna che continua ad esserci, ma separato da questa informazione modale che sa solo di consumo. Si tratta di due realtà parallele, l’una sganciata dall’altra.
Se proponevo il femminicidio anni fa nessuno avrebbe preso in considerazione l’oggetto, oggi tutti vogliono parlare di questo argomento, perché il pensiero sociale è clonato. Se vuoi parlare di un fenomeno sociale che è molto gravoso ma non contemplato dai mezzi di pseudoinformazione di massa, nessuno lo prende in considerazione.
C’è una differenza sostanziale tra il silenzio e la negazione; il primo caso è sinonimo di disconferma del messaggio, di totale indifferenza, nel secondo si tratta della sua negazione. Negare vuol dire sempre considerare, anche se l’enunciato preso di mira viene considerato falso. Il primo caso è il peggiore di tutti, giacché non si considera per nulla.
Oggi siamo in una dittatura, perché la libertà, la libera espressione è messa sotto i piedi, la cultura, la conoscenza viene piegata alla volontà del mercato. La tomba di un grande compositore – Riccardo Casalaina – si sta spaccando nel cimitero di Milazzo (Messina) in quanto due arbusti crescendo con le radici ci stanno bene pensando, nessuno, proprio nessuno fa nulla. Non è un evento mediatico, quindi non esiste.
Ho realizzato un video che segnala questa urgenza, ma tutto continua a tacere.
Per questo motivo sono molto scettico e considero disastroso questo periodo storico, capisco che non cavalco nessun abbigliamento culturale, come fanno tanti furbetti che, utilizzando le mode sociali, proclamano eventi che alla fine si ricircolano nelle mode.
essere Donna
Miss e mass (media)
Fatti non foste a viver come brut(t)i…
VISIONE E TELE-VISIONE di Maria Rosa Irrera
Cara Giulia,
ti scrivo dal paradiso, dove mi trovo ormai da tempo grazie all’intercessione di una donna. Non che il paradiso mi dispiaccia, ma avrei un certo desiderio di tornare sulla terra… Qui mi hanno scoraggiato tutti perché dicono che oggi in Italia per chi si occupa di cultura è un inferno, e che per fare lo scrittore non bisogna avere talento, ma santi in paradiso… Mi hanno addirittura detto (ma questo deve essere uno scherzo!) che gli italiani si ricordano di me soprattutto per il mio naso storto e per via di certi “rotoli”… e sono convinti che io avessi un flirt con Beatrice!
Avevo quindi rinunciato al mio folle volo all’ingiù… quando ti ho vista in tele-visione (ce la facciamo prestare dal diavolo per le grandi occasioni, e per riveder le stelle di Ballando) e mi si è riaccesa la speranza… Ho anche sentito (guarda che coincidenza!) che sta per cominciare un talent show per scrittori e vorrei tanto partecipare.
Per questo ti chiedo, cara Giulia, di intercedere per me presso la Dea Tele-visione: ho sentito che, dopo la tua apparizione, c’è una certa curiosità nei miei confronti… e vorrei, non dico diventare un personaggio famoso, ma farmi conoscere e amare un po’ di più dal grande pubblico…
Celesti saluti,
Dante
P.S. Per essere sicuro che questa missiva arrivi a destinazione, non la consegno all’arcangelo Gabriele (che, detto tra noi, è un po’ anziano), ma ho chiamato uno dei postini di una famosa trasmissione televisiva.
IL SERPENTE IMPRENDITORE di Maria Lizzio
Con le mele non funzionava più da un pezzo; Eva ne aveva ingoiato a quintali, ma, di conoscenza, nemmeno l’ombra e, per giunta, aveva sforato con il tasso glicemico. Nel frattempo, poi, la conoscenza era passata di moda e non ci si guadagnava più un euro.
Ma il serpente ne sapeva una più… del diavolo e, avendo un fiuto infallibile per gli affari, non si sarebbe certo fatta scappare Eva.
“Perché”, s’illuminò all’improvviso, “non costruire tanti spettacoli accattivanti di lavorononlavoro, in cui questa deliziosa creatura, senza la dannata faticaccia di imparare a fare qualcosa, dovrà solo esibire la propria bellezza?”
Eva, già impigrita dal lungo ozio paradisiaco, rimase fulminata dall’idea e, visto che, a conti fatti, l’anima non le serviva più, la vendette senza problemi al suo manager.
In compenso, avrebbe posseduto milioni di anime di spettatori intorpiditi quanto lei.
PSS… PSS… C’È DANTE CON LA MISS[1]… di Maria Lizzio
Giulietta, ti ringrazio
di avermi dato spazio:
nemmeno Beatrice
aveva fatto tanto!
È vero, ho molto atteso
ed ero quasi stanco,
ma adesso sono sazio:
infine sono giunti,
a questa tarda età,
i quindici minuti
di celebrità!
[1] Giulia A., ultima icona dell’italica bellezza, ha…svelato, durante il concorso che l’ha proclamata vincitrice, il suo modo personalissimo di accostarsi al poeta: il tatuaggio, sul suo corpo, di due famosi versi danteschi.
C’è una volta… One Billion Rising
C’è una volta… il 14 Febbraio 2013, One Billion Rising: anche qui c’era di mezzo un ballo, solo che non si trattava di un ballo per essere scelte, ma di un ballo per scegliere, non era questione di prìncipi, ma di princìpi… Le donne e gli uomini che vi hanno partecipato non dovevano dimostrare qualcosa a qualcuno, ma volevano semplicemente esser-ci… Cosa significa “esser-ci”?
Capita che le nostre azioni non siano sorrette da scelte autentiche, che dentro i nostri gesti non si disegnino speranze, ma si consumino (e ci consumino) riti meccanici chiusi in ricadute pratiche immediate. Ci siamo cioè socialmente abituati alla strettoia dello scopo utilitaristico, e diseducati all’orizzonte del significato… Il niente del “nessuno fa niente per niente” è un terreno fertile anche per la violenza: dove non c’è il tempo, lo spazio, il modo, di dare senso a se stessi e agli altri, la dimensione del possesso diviene l’unica, fragilissima, via di “soddisfare” i propri bisogni identitari e relazionali… Il problema è proprio questo: tra la tragedia (spesso annunciata) e l’opacità del quotidiano, c’è tutta la banalità del male: una miriade di insensatezze e connivenze culturalmente nutrite. E’ facile dire “no” di fronte a una vita stroncata, ma chiediamoci seriamente quanto spazio e dignità sappiamo dare alla nostra libertà e a quella di un figlio/a, allievo/a, fidanzato/a, marito/moglie… Riflettiamo su quanto l’idea mitica della “femminilità” oscilli ancora pericolosamente e stupidamente tra il modello-Mulino Bianco e il modello-Playboy, tra l’accudimento e la provocazione, come se l’ ESSERE DONNA si riducesse comunque a un compiacere di vario tipo i bisogni degli altri.
Riflettiamo, dulcis in fundo, sulle parole che rendono questi schemi-aspettative culturali: l’innocuo desiderio di una mamma in attesa di avere una figlia femmina “così te la vesti come vuoi”; la normale gelosia del povero padre destinato (nel migliore dei casi) a mandare giu’ bocconi amari durante l’adolescenza della figlia ormai cresciuta, che magari, nel frattempo, avrà pure trovato un ragazzo innamorato, molto innamorato, che le dice come vestirsi! Che ragazza fortunata! Oppure pensiamo alla bonaria indulgenza di un’espressione come “scappatella”, di contro alla pesantezza di epiteti che (guarda caso) non contemplano nemmeno la forma maschile! Imparare a esprimersi e ad accettare l’espressione dell’altro, chiamare le cose col loro nome, eventualmente inventando nuove parole se quelle che abbiamo non bastano o non sono piu’ adeguate, significa proteggersi dalla logica del possesso, in tutte le sue forme: da quelle culturalmente ammantate di paternalistica benevolenza, a quelle piu’ brute.
Ballare insieme allora, è stato intanto utile a darci reciprocamente senso e dignità, a riconoscerci in quanto esseri umani, a prescindere dal potere sociale esercitato; a segnare e sognare col nostro corpo la possibilità dell’espressione e dell’incontro, opposti alla censura esistenziale e al possesso. La bacchetta di una fatina che ci concia per le feste e l’infatuazione di un principe non cambieranno la Storia: ma il 14 Febbraio 2013 nelle piazze abbiamo tutti lasciato un pezzo di gioiosa consapevolezza, e, ne sono sicura, saremo NOI a tornare a riprendercela.
Italia in cerca d’autore
Mi onoro di rappresentare l’Italia in cerca d’autore ri-tagliata fuori da un certo tipo di rappresentazione dell’Italia. Certo, so che, oggi piu’ che mai, la “realtà” coincide con la sua rappresentazione, e che questo fondamentale assunto che nell’Arte significa possibilità di comprensione polisemica, e trasformazione liberatoria, nel Potere della Propaganda, significa, al contrario, istituzione di sensi unici, vicoli ciechi del pensiero, necessità.
Quando Nabokov, tra una caccia di farfalle e l’altra, imprigiona tra le righe una certa Lolita, sta, al tempo stesso, s-prigionando un tenero strazio di nuova bellezza e illuminando i paradossi di una società che ci “crea” come oggetti-soggetti di propaganda, come detentori di una sbandierata “libertà” cannibalesca, o di una, altrettanto sbandierata, meccanico-pacifica assenza di libertà (non c’è bisogno di dire quale film sintetizza ad arte tutta la violenza di questa polarità). Ora, la “libertà” che sembra consistere nell’avere i soldi per adeguarsi al modello creato dalla pubblicità, instaura uno stagnante circolo vizioso, nel quale la mia Lolita si fa, da creatura d’arte e d’amore, icona di stile per teen-ager giapponesi; Alice diviene la povera vittima di un pedofilo, e pure drogato, nei commenti su facebook di persone che non hanno idea del confine tra l’opera, l’autore, la persona, il personaggio… Ecco, a mio avviso, l’humus, non prettamente italiano, per il quale poi, gli stessi commentatori perbenisticamente inconsapevoli di facebook si voteranno a Santo Silvio, immaginetta ideale in quanto a soldi e successo, e squisitamente reale in quanto a vizi (certo, entro i limiti del maschilismo!).
Abbiamo creato, piu’ o meno in malafede, una società che si nutre della contrapposizione semplicistica tra mostri ed eroi, buoni e cattivi, che perde gli strumenti culturali per interrogarsi sul marcio e sul bello possibile che c’è alle sue stesse radici, su quale spazio vuoto e su quali bellezze e verità tradite di tutti si innestano le mostruosità e gli eroismi di pochi. Io, per inciso, non vorrei sentire che Falcone e Borsellino sono degli “eroi”, delle icone postume di una partita persa in partenza, ma un pezzo massimamente dignitoso e umano troppo umano della realtà, della MIA realtà.
Non può chi conosce l’illusione libera e fertile dell’Arte, permettersi l’illusione prigioniera e sterile che la “realtà” italiana sia solo la sistemica e sintetica costruzione del berlusconismo, ben congegnata, certo, ma fino a un certo punto… Non basta far precedere un discorso dallo stilema C’era una volta, per attingere alla fonte della fiaba, non basta sostituire Shahrazàd con Maria De Filippi per avere Le mille e una notte… Se è per questo abbiamo anche artisti della satira (Crozza, Guzzanti, Littizzetto…) per disinnescare i soporiferi ingranaggi e disincantare i posticci incanti…
La risposta politica che viene dalla cultura dell’arte (non a caso fatta a pezzi non solo dal governo Berlusconi) consiste nell’avere una riserva di fantasia e ironia per educare ed educarsi a non sentirsi obbligati a sentirsi liberi di essere come tutti gli altri… Confesso qualche imbarazzo storico, qualche pessimistico mal di pancia, qualche guerra fredda interiore, a stare tra le cenerentole sovietiche, le biancanevi disneyane (avete notato che i nani si risolvono ad ospitare la bella principessa solo quando lei offre loro i suoi servigi domestici?), le lolite giapponesi, le –ine italiane, e le difficoltà opposte e complementari di contesti culturali vicini e lontani… Il punto è che un corpo non dovrebbe essere una dimostrazione, di nulla; ma il modo che abbiamo per sentire il mondo.
Essere non è dimostrare, e mettere l’identità sotto bandiere o artigli, per questo giuro da italiana che se mi si chiede una parola che comincia con la “B” penso subito, ancora, a “Bellezza”…
Se me ne si chiede una con la “F”… ,ora piu’ che mai, “Fantasia”; … o tutt’al piu’ “Farfalla”, ricordandomi di Nabokov, ovviamente.
E delle ali che cerco.