Pomeriggio d’estate

Acquerello magico
Un “acquerello magico” di Casimiro Piccolo

Casimiro passeggiava fra i rami di glicine. Tutt’attorno c’era silenzio. Silenzio c’era. Molto dormivano. Forse dormivano tutti. Ma qualcuno era sveglio.

Come essere svegli mentre tutti gli altri dormono? Forse non dormono.

O forse è solo apparenza.

Eppure, quella notte non c’era buio per Casimiro e il suo passo era lieve. Lieve il suo vagare fra i glicini, mentre anche i cani sembravano scomparsi. E dire che quei cani erano così presenti.

Book (detto Buck) fa finta di essere cieco. Lui però ci vede benissimo. Sa tutto della Villa. Niente gli sfugge. La villa lo ha accolto e lui è sempre stato là, fin dai tempi antichi, quando ancora il signor barone passeggiava fra i viali di notte.

Per un po’ di tempo l’anima buona e giocosa di Lilly gli ha fatto compagnia, ma poi è andata perché doveva compiere un’altra missione. Poco lontano dalla villa, ma incompatibile.

E così Book (detto Buck) è rimasto solo. Solo a vegliare sul silenzio dei pini secolari. Ogni tanto passeggia e mi chiede come vanno le cose. Io non so rispondergli, perché non oso infrangere il patto di silenzio che c’è fra noi. Lui sa bene. Conosce le mie risposte e mi rispetta, perché non parlo la lingua universale e quindi non posso essere condannata.

Intuisco – almeno quello, sì – che tutti parlano, mentre il signor Barone non la smette di intingere il suo pennello nella tavolozza di colori. Lo so, lo so… li vedete sbiaditi. Alcuni di voi credono che il dipinto sia in bianco e nero. Altri lo vedono ingiallito. Io non so. Per me i colori sono inalterati. Il fatto è che gli esseri umani, chiamati impropriamente viventi, non si accorgono della loro varietà. Non hanno il gusto cromatico. Hanno perso sensibilità visiva. Sono un po’ come daltonici. Ma non come daltonici. Di fatto, non vedono niente. Non vedono più niente.

Il signor barone mi ha detto che quella sera c’è rimasto male. Qualcuno aveva organizzato la mostra di un pittore locale senza dirgli niente. Potevano almeno comunicarglielo. Sì lo so, poi ci sono rimasti male quando hanno trovato i quadri con i vetri tutti rotti per terra. Ma non è colpa mia. Il signor Barone me lo aveva detto che era questione di buona educazione. Avrebbero potuto informarlo di questa stupida mostra a casa sua.

Ah già, loro non parlano la lingua. Ma avrebbero almeno potuto chiamare un interprete. Ce ne sono di bravi in giro. Una volta c’era Lilly. Anima buona e giocosa la sua. Ma poi è andata perché doveva compiere un’altra missione. Poco lontano dalla villa, ma incompatibile. E così Book (detto Buck) è rimasto solo. Solo a vegliare sul silenzio dei pini secolari.

E Book (detto Buck) è proprio un bravo interprete. Avrebbe potuto dirglielo lui se solo glielo avessero comunicato. Ma anche a lui era stato tenuto nascosto. E non si lamenti quel pittore di provincia, perché grazie a noi ha avuto il suo momento di notorietà. Ringrazi semmai il signor Barone, che si è limitato a far cadere i quadri sul pavimento. Ringrazi e vada via, perché questa è la villa del signor Barone e dei suoi immortali e simpatici amici. Non manca proprio nessuno. Ora passeggiano. Ora ci guardano dagli alberi.

Stamattina sono stata al mare. Lo cercavo ma non c’era più.

Stamattina cercavo il mare. Ho incontrato una villetta, poi un’altra, poi un’altra ancora. E tutti erano felici e contenti.

Tutti beati. C’era la signora che raccontava all’amica della festa della sera prima e c’era il professore che si beava con gli amici ritrovati dell’estate, raccontando loro delle sue soddisfazioni accademiche. E c’era l’avvocato che non faceva che mandare messaggi dal suo cellulare, totalmente preso da questa interessante attività. E c’era un turista un po’ effeminato, tutto intento a cospargersi il corpo di olio solare. E c’era il suo amico che lo aiutava. E c’era il geometra che ha lo studio in via Vittorio Emanuele che ha preferito non andarci, perché aveva appuntamento con l’avvocato. E c’era l’amica dell’architetto, mentre l’architetto non c’era. STOP

Non c’era nessuno.

Non c’era la spiaggia.

Non c’era il mare.

Non gli alberi.

Non gli uccelli.

Non gli insetti.

Non i pesci.

Non c’erano i vivi.

E non c’erano i morti.

Non c’era nessuno.

C’erano tutti. Vivi e morti. Laddove i vivi erano già morti e i morti, quelli veri, vivevano senza che nessuno se ne accorgesse.

Sai, oggi ho parlato con Book (detto Buck). Ogni tanto passeggia e mi chiede come vanno le cose. Io non so rispondergli, perché non oso infrangere il patto di silenzio che c’è fra noi. Fa finta di essere cieco. Lui però ci vede benissimo. Ora Papilio lo sta accarezzando. Ora Papilio sta scherzando col signor Barone.

Papilio e Casimiro dice che se ne andarono. Ma chi lo dice?

Eccoci qua, sediamoci sul prato e che il picnic abbia inizio. Book, lo so che vuoi un pezzo di frittata. Questo pezzo è per te…

Grazie signor Barone per questo splendido picnic sull’erba.

Sicilia Cenerentola

“Non cianciri bedda, non è cosa bona
ora tu vai unnì si balla e si sona”
un coppu i bacchetta cù tutta a sò fozza
e un casciabancu divintau carozza
[1]

Villa Piccolo
Villa Piccolo in un acquerello

Di fronte a continue minacce di sciagure culturali, tra cui la chiusura dell’amata Villa Piccolo, e alla generale e istituzionale incapacità di formulare interrogativi vitali sul proprio e altrui passato, presente e futuro, propongo una riflessione che, seguendo lievi tracce linguistiche tra italiano e dialetto, dialoga giocosamente sul “nuovo” e l’ “antico”, sulla speranza e la disperazione; a suggerire la possibilità (e la necessità) d’una riscoperta culturale autentica.
Quando leggiamo e scriviamo, sogniamo e giochiamo, quando amiamo… la vita diventa il nostro vasto presente.

C’è un proverbio siciliano che riconosce alla zucca (cucuzza) molte forme e una sola sostanza, con una perentorietà sapienziale e spietata potenzialmente capace di scoraggiare persino la libertà creativo-maieutica della s-memorabile fatina di Cenerentola. E’ una vera fortuna che la dea ex machina della fiaba sulla metamorfosi per eccellenza, non si sia mai trovata a passare da queste parti: non abbia mai visto esercitare l’arte della disperazione una nonna ai fornelli o una vecchia volpe (pardon, gattopardo) alla principesca scrivania. E se oggi è il dialetto a far le veci della cenerentola, cucuzza multiforme (non meno dell’ingegno di Ulisse), ma anche solido, essenziale veicolo di nette eppure ombrose verità, non si negherà ai giovani siciliani, a causa della pronuncia innaturale, la possibilità dell’amore per le voci che magari hanno solo annusato nei baci dei nonni. (Ho sentito di una nonna che, nell’accogliere l’italianissima nipotina, le diceva “ciaurusa”).
Non si negherà loro il sentirsi figli di Pirandello, ovvero figli di verità che non possono essere nette, ma restano ombrose negli specchi infiniti (anche linguistici) che frantumano e ricreano le forme del loro essere-non essere siciliani. Si riconoscerà piuttosto alla loro ricerca di verità umano-artistica la capacità d’innamorarsi del dialetto, senza prendere il metro per misurarne la distanza dai propri mondi, semmai prenderanno la metrica e salteranno di slancio la corda (pazza).
Non c’è bisogno di sperare che la carrozza dell’italiano si trasformi di nuovo nella cucuzza del dialetto: il lieto fine omologato dell’Italia alfabetizzata e mai così ignorante, non impedisce a un bambino d’inventare una nuova parola, e a una bimba magno-greca di scoprire intuitivamente il legame misterioso tra eros polemos thanatos, quando fa sciarriare nel gioco principi e principesse.
Mi chiedevo dunque (e non vorrei sembrare polemica e piena di sassolini nella scarpetta, ma solo una, nessuna e … che si esercita, almeno fino allo scoccare della mezzanotte, nell’arte dell’alternativa)… non si potrebbero variare le morte ricette autocelebrative di molti eventi culturali, e improvvisare, a partire dalla forza irriverente ed esoterica del dialetto, una bella seduta spiritica nello stile dei fratelli Piccolo per evocare gli spiriti di tutti i poeti, gli scrittori e tutti i pazzi di Sicilia (senza, beninteso, allisciari u pilu ai gattopardi)?
E il medium sarebbe l’italiano o il dialetto? Carrozza per cucuzza, cucuzza per carrozza, se vogliamo che tutto rimanga com’è….

Pattiu a figghia vistuta d’oru e d’argentu
nà stidda paria dù firmamentu
a unnì annau puttau luci e splendori
e ò principi azzurru ci trasiù ‘ntò cori

 

[1] I versi riportati all’inizio e alla fine dell’articolo sono del poeta dialettale Pippo Bonaccorso.