Il lupo fuori dalla… fabula

Un lupo
©Peter Rindisbacher

Il lupo, che non ne poteva più di stare in fabula, decise di prendere una boccata d’aria nuova e, atteggiamento noncurante, ma occhio vigile e orecchie ben drizzate, si avviò verso la città, dove si diceva che abitassero quegli uomini che da sempre sparlavano di lui.
Così, si ritrovò presto in mezzo ad un viavai di gente e di strani scatoloni metallici che si muovevano in tutte le direzioni freneticamente e senza un ordine comprensibile, producendo rumori indiavolati e sporcando pure l’aria, tanto che a lui cominciava a mancare il respiro; solo il rosso dei semafori li fermava per un brevissimo tempo, ma gli occhi del lupo non distinguevano i colori, quindi, la sua confusione era totale.
Questo disorientamento fu notato da un corvo, che aveva preso dimora tra le fronde di un grande faggio, presso un vecchio palazzo, dopo che qualcuno lo aveva fatto nero perché la bestiola proprio non riusciva a farsi i fatti suoi.
“Ehi, amico”, gracchiò il corvo dalla cima del suo rifugio,  “quale cattiva ventura ti porta da queste parti? Non sai quanto è pericolosa la foresta degli uomini per uno come te che non può volare, all’occorrenza?”.

Il lupo, in verità, cominciava a rendersi conto dei pericoli che correva e in cuor suo diede ragione a quell’uccello del malaugurio, ma, con il cammino e la consapevolezza del rischio, era cresciuto anche il desiderio di conoscere quegli esseri strani che si muovevano su due piedi (e per questo al lupo apparivano molto instabili e squilibrati) e sembravano avere sempre fretta di andare chissà dove, di fare chissà cosa, senza mostrare curiosità per alcunché: solo affrettarsi verso un qualche luogo misterioso, che il lupo ormai aveva deciso di scoprire.
Pertanto, li seguì a lungo, impresa, in verità, non difficile, perché ce n’erano dappertutto e, tutto sommato, non gli davano fastidio, anzi lo degnavano appena di uno sguardo, ma non apparivano né sorpresi della sua presenza né interessati a lui, anche perché, spesso, non badavano nemmeno alla strada che percorrevano, mentre parlavano da soli, a voce alta, con uno strano arnese appoggiato ad un orecchio, forse, ipotizzò l’animale, per invocare aiuto da qualcuno (di solito, parlando, guardavano in alto o lontano), contro un pericolo che li minacciava e di cui lui non poteva rendersi conto.
Eppure…per qualche motivo a lui del tutto ignoto, questi esseri così distanti e indifferenti nei suoi confronti, non avevano esitato a raccontare ripetutamente della sua cattiveria…

Citta
©Maurizio Tangerini

Si avvide, finalmente, che la loro fretta si spegneva spesso in grandi spazi coperti, dov’era esposta tantissima merce (lui era un vecchio lupo e non sapeva che quei campi immensi, dove fiorisce tutto ciò che è inanimato, si chiamano centri commerciali) e lì si riempivano le borse di prodotti d’ogni genere, con la stessa voracità con cui lui in tutte le loro favole si era regolarmente riempita la pancia di pecore e di agnelli. “Forse mangiano tutta questa merce”, provava a ragionare il lupo, “ma”, aggiungeva perplesso, “ci sono oggetti che nemmeno i miei denti, tanto più potenti dei loro, riuscirebbero a frantumare”.
Poi dovette constatare che potevano fare anche di peggio: urlare, agitarsi, litigare come… bestie, quando qualcuno tentava di scavalcare qualcun altro nella fila, davanti ad uno strano arnese, dove ad un loro simile tutti pagavano una specie di pedaggio.
“Forse”, si sforzava di capire il lupo, “ questo è passato avanti perché è più affamato degli altri”, ma in verità, questa ipotesi, appena formulata, gli appariva subito piuttosto debole.
Talvolta, per strada, nonostante la fretta che sempre li assillava, capitava che alcuni si fermassero e se le dessero di santa ragione; talaltra, il lupo lo intuiva (non era moderno, ma il fiuto non gli mancava), qualcuno dall’aria più furba tendeva un tranello ad uno meno avveduto: insomma, fretta e lotta dominavano la città degli uomini, e i più deboli se ne tornavano regolarmente a casa con le ossa ammaccate.

Il lupo tenne in osservazione gli uomini per alcune settimane, prima di giungere a qualche fondata conclusione su di loro (ché lui era un lupo, ma non privo di scrupolo, checché se ne dicesse, e non voleva macchiarsi la coscienza facendo torto a qualcuno), ed ebbe la certezza che questi stranissimi esseri non solo sarebbero potuti riuscire pericolosi in qualsiasi momento ai lupi come lui, ma, e qui la comprensione dell’animale si arrestava irrimediabilmente, lo erano soprattutto per gli individui della loro stessa specie. E notò, per di più, che di solito non mutavano il proprio comportamento, nemmeno quello che persino a un lupo, così, a naso, appariva sconcertante e… irrazionale.
“Questi uomini non riuscirò mai a capirli davvero”, concluse allora l’animale alquanto deluso e rassegnato; “però,” si riprese subito con giusto orgoglio, “ho capito bene perché favoleggiano tanto della mia cattiveria e sono così sicuri che non perderò mai il mio vizio”.