e non fantasmi
ma anime fraterne
sono venute incontro
dolorose
al mio volto
sferzato dallo scirocco
nella pena immobile
di questo inferno
rassegnato
come le pietre del campanile
o la vallata
stanca
del pianto della civetta
Alle porte dei poeti
Le porte dei poeti custodiscono la vita: basta un tocco e le ombre ritornano indietro vivificate come al suono della cetra di Orfeo, per raccontarci, antiche Sibille, il nostro destino.
Esso si ripete uguale e doloroso, in uno scenario naturale, che ne è, al contempo, simbolo e muto testimone.
Menade di un canto
senza pause,
come da cocci
di un antico vaso
sale
la danza ebbra
dei tuoi passi
lievi
le ferite si smemorano
nelle braccia del dio
Le braccia del dio
La fragile creatura di dolore incontra la “follia” del dio, nella cui danza vorticosa prende la prima forma il suo spasimo interiore. L’impeto della pena sembra dominare ritmi e movenze, ma ne resta, alla fine, catturato, “purificato” in elemento sacrale, per sempre compiuto ed inoffensivo, come nel respiro eterno ed immobile di un’antica urna.
Non di Dioniso, dunque, ma di Apollo, taumaturgo e poeta, sono le braccia che offrono il riparo di una miracolosa leggerezza alla fascinosa sirena stanca.
Cercherò di attraversare la neve
fino alla tua soglia.
Distanze di cielo e di terra
Il desiderio può avere l’intensità della luce, ma seguire un percorso non necessariamente ascensionale, come quello di una fiamma, e restare distante dalla rassicurante certezza delle stelle.
Il suo cielo è una soglia da raggiungere e varcare, con la forza ostinata della sua pena, attraverso il rischio e la fatica di un immenso deserto bianco, contraltare doloroso dello spazio celeste negato, oltre il quale può trovarsi il risarcimento di una umana salvezza, ma anche la perdita totale di sé e la definitiva dannazione.
In una sera d’inverno, la neve si lamentava della sua solitudine: non un bimbo, non un fiore, non un musetto di animale. E nemmeno un alito di vento.
Dallo sconforto, cominciò a sciogliersi in pianto e diventò, così, un laghetto fresco e grazioso.
All’improvviso, nel piccolo specchio d’acqua, si affacciò curiosa una stella e si mise allegramente a giocare.
La neve cessò di piangere e, ridivenuta compatta, tenne per sempre la stella stretta fra le sue braccia e non rimase mai più sola.
Soltanto nelle notti di primavera, quando la neve corre verso il mare, la stellina torna a casa sua, in cielo, arrampicandosi sui rami di un vecchio albero amico.