Zampini e colpi di coda

Neanche il tempo di dare una zampata ai gattopardi, che un nuovo candidato ci mette lo zampino: del resto, si sa, la nostalgia è una brutta bestia… e certe ferite continuano a bruciare.

NEWS DELL’ALTRO REGNO di Ylenia RiparanteCane candidato

ELEZIONI: presentato a sorpresa Giù le mani dalla ciotola, nuovo partito che conta già milioni di Cip, guaiti che chiedono nuove elezioni. Il programma elettorale ancora in fase di formulazione prevede già salde linee guida:
– Garantire più posti di lavoro eliminando contemporaneamente il problema rifiuti;
– Diminuire le tasse, prima tra tutte la proposta della misura sperimentale “animali beni di lusso” ;
– Presentazione alla camera di politici non tanto con il pedigree ma con zampe per terra, niente grilli per la testa, si accetta al massimo qualche pulce;
– Introduzione di modalità libere di pagamento con nuovi sistemi di scambio con moneta unica COCCOLE E BACI (possibilità di pagamento rateizzato IVA 0%);
– PELO libero per Tutti e dappertutto.
Leader del partito politico: PEPITO, già imprenditore delle ditte: Unghie e zampa, ruspe per il tuo giardino, Zamplifex divaniUrinalà, nuovi sistemi di irrigazione e Investigazioni Pepito, dacci una traccia e troviamo anche gli scheletri nell’armadio.
Il leader si dichiara fiducioso, in fondo, in casa, essendo l’unico cagnolino, ha già la Maggioranza!

FANTOZZI AL VOTO di Diego CaiazzoFantozzi

Lunedì 25 febbraio 2013, ore 12.
Fantozzi uscì di casa determinato a compiere un gesto dadaista: votare Grillo! Dopo una notte di tormenti e di indecisioni finalmente si era deciso: avrebbe mandato tutti col sedere per terra!
Lunedì 25 febbraio 2013, ore 12,05.
Fantozzi entrò come un automa nella cabina. Stava per compiere il suo sfregio alla classe politica di cui non aveva più stima votando per Grillo come grido di dolore quando all’improvviso, gli apparve (come a Costantino in sogno, prima della battaglia di Ponte Milvio, la croce con su scritto “IN HOC SIGNO VINCES”) il simbolo della falce e martello! E ricordò le manifestazioni, le letture di Rinascita a scuola, a dispetto dei Padri Domenicani che la gestivano, i Festival dell’Unità e i panini con le salamelle che aveva mangiato insieme coi “compagni”, i primi tornei di scacchi giocati nella locale sezione del PCI e della FGCI. Nella sua mente cominciarono a suonare le note di Bandiera rossa, l’Internazionale, l’inno dell’Unione Sovietica (bellissimo!) e Funiculì funiculà cantato dal coro dell’Armata Rossa! E infine, paterna, la voce di Bersani che lo rassicurava: il sol dell’avvenire era vicino…
Così, in preda ai fumi guasti dei ricordi degli anni settanta, prigioniero della sua giovinezza, mise la croce sul simbolo del PD.
Lunedì 25 febbraio 2013, ore 12,30.
Tornato a casa Fantozzi diede uno sguardo al calendario: non era il 1975. Si mise a letto con un gran mal di testa. Sua moglie, la signora Pina, gli portò il Corriere dello Sport, per farglielo leggere quando gli fosse passato. Sua figlia Mariangela giocava con l’iPad…

CACCIA ALLE STREGHE di Maria Rosa IrreraGiudici Berlusconi

Le streghe (notoriamente femministe e comuniste), dopo essersi riunite la notte di S. Giovanni per lo storico sabba milanese, hanno deciso di rompere lo specchiospecchiodellemiebrame di Silviolo e condannarlo a sette anni di s-figa. Il perverso rito processuale ha un evidente significato politico e appare come un’ingiustificata e diabolica presa di posizione contro un’innocua cultura maschilista millenaria, e un’ altrettanto innocua presa per il culo ventennale di tutto il popolo italiano. Si tratta della tardiva vendetta personale di una sparuta frangia estremista di streghe troppo abbronzate per via di quelle sfortunate “lampade magiche” ormai cadute in prescrizione.

Lo straniero, il teschio e il prigioniero

Castello di Aci Castello
©Erika Weinmann, 1985

Mi ero spinto in quel piccolo paesino così, un po’ per caso e un po’ per la voglia di far qualcosa di alternativo, in quella cupa ma afosa domenica di Aprile. Con la mia utilitaria dalla freccia mal funzionante, in preda ad un impulso di esaltante libertà e indipendenza, girai più volte tra i vicoli e le stradine rifiutandomi persino di rispettare i segnali stradali! Trasportato da tutto ciò, decisi di lasciare la macchina in un vicolo cieco, non curante della gente che seduta al bar di fronte mi fissava: – In fondo- mi dissi – potrei biascicare qualche parola in spagnolo e farmi passare per un turista inesperto!
Sceso dalla macchina, quello che vidi fu un immenso spettacolo storico-naturale: un enorme castello che si affacciava sullo splendido mare azzurro tipico della mia Sicilia, quella stessa Sicilia che in quell’ultimo periodo mi dava forti dispiaceri e che, invece, in quella insolita mattina, era riuscita a stupirmi a sorpresa ancora una volta.

Proprio mentre fissavo inebetito tutto questo, una voce alle mie spalle sussurrò dolcemente, ma non per questo non facendomi trasalire: – Questo castello si erge su una rupe esito di un eruzione sottomarina che risale a milioni di anni prima della formazione dell’Etna!
Fu così che feci la conoscenza del guardiano del castello, un uomo minuto dall’occhialino tondo e dall’animo del poeta, la qual cosa mi fu subito chiara non appena, facendomi strada tra gli scalini, come captando il mio stato interiore, mi disse: – Una mela non ha rimorsi![1] Vada per il castello, troverà le risposte che cerca!

Ringraziai e, pensando a chissà quanta gente era stata rifilata questa stessa frase per incrementare l’entusiasmo della visita, iniziai a girovagare nelle terrazze immense, stupito dalla vista celestiale che il posto mi offriva. Da una di queste riuscii persino a scorgere l’isoletta proprio lì davanti e mi chiesi se fosse ancora accessibile. Dopo aver fatto qualche foto, tornai indietro e, mentre mi avviavo all’uscita, mi resi conto che c’era un’ultima stanza da visitare. Scesi quindi qualche scalino e, passando sotto un piccolo porticato, mi ritrovai dentro a un’area che, diversamente dalle altre, ospitava delle teche di vetro che custodivano reperti archeologici probabilmente risalenti all’epoca primitiva. Tra questi vi erano anche alcuni teschi di primati, non ne avevo mai visti prima e la cosa mi affascinò parecchio: in fondo visitare quest’ultima stanza non era stata affatto una perdita di tempo. Fissavo interessato, quasi alitando sul vetro, quando improvvisamente un teschio, tra l’altro diverso dagli altri, iniziò a parlare raccontando una romantica e triste storia: la storia del prigioniero del castello, un uomo che in epoca lontana, era stato tenuto in catene nelle segrete alle quali si poteva accedere solo tramite la botola al piano superiore, la stessa botola che adesso il custode chiamava “pozzo dei desideri”.[2]

Il teschio raccontò che l’uomo era stato severamente punito per aver cacciato selvaggina appartenente al Signore del posto, il quale aveva deciso che, visto che gli era stato rubato un pezzetto di cielo, la pena sarebbe stata la medesima: l’uomo sarebbe stato imprigionato dentro una botola da dove il cielo era visibile solo per una piccolissima porzione, così da poter ricordare di cosa era stato privato e di chi fosse dunque il potere.
Ed infatti il prigioniero passava minuti, ore, giorni interi a pensare a tutto ciò che aveva e che aveva perso, alla sua terra, alla sua vita e in particolare pensava a Teresa, la splendida Teresa che gli aveva rubato il cuore e il cui battito di ciglia l’aveva fatto innamorare. Ed era proprio quest’immagine suadente che il battito di ali di quella beccaccia gli aveva evocato, e ancora questo il motivo che lo aveva spinto a catturarla, non dunque per ucciderla, ma semplicemente per tenerla con lui, per sentirsi vicino alla sua amata.
Così lui pensava e ripensava finché un giorno, dalla grata sopra la sua testa, cadde, probabilmente portato dal vento quasi per magia, un piccolo pezzetto di cenere nera, forse proveniente dal grande Etna ancora in eruzione.
Quella sì che fu per il povero sventurato una benedizione, perché poté usarlo per scrivere sulle pareti della cella, divenuta ormai sua triste dimora, una splendida poesia per l’amata, che la sera, al sorgere della luna, amava invocare ad alta voce, sperando che un flebile alito di vento potesse sussurrarla all’ orecchio di Teresa prima di prender sonno… chissà che in codesto modo fosse più facile incontrarsi nei sogni.
Ciò purtroppo non accadde, gli anni passarono lenti ed inesorabili finché il prigioniero si arrese al suo destino e si lasciò  morire. Questa storia era estremamente triste e io, non curante dell’assurdità di ciò che stava accadendo, preso dall’enfasi del racconto, lo dissi al teschio quasi insultandolo per aver incupito ancora di più la mia giornata! Lui, dal canto suo, non sembrò rimanere male per questa mia reazione, né tanto meno sembrò a sua volta essersi arrabbiato. Fece piuttosto un sorriso amaro e disse:

“O furisteru câ vinisti di luntanu,
picchì ha’ renniri ancora chiù pisanti lu me distinu amaru?
Non vidi chi d’ ’i me carni ristau sulu ‘na crozza vacanti?
Si ’u destinu ti purtau ccà supra un mutivu ci saravi!
Fammi ’nu favuri!
Ccussì câ me anima possa raggiungiri ’u Criaturi!
Va’ ‘ntâ ’dda isuledda e cunta i me versi sutta a l’àlbiru supra â cullina,
a ’dda cruci ‘ntâ terra cà vasa di tant’anni ’u me Cori!”
[3]

Disse questo e poi più nulla! Dopo qualche istante di silenzio, fu come se improvvisamente tornai in me e la prima reazione fu quella di stropicciarmi gli occhi e asciugarmi la fronte. Il caldo mi aveva giocato un brutto scherzo in quello strano castello, sicuramente mi ero lasciato suggestionare dalle parole del custode, quindi bevvi un sorso d’acqua e ridiscesi.

Seduto nella panchina della piazza, fissando la statua della madre, le parole che avevo immaginato di udire mi ritornavano alla mente come un disco rotto senza che riuscissi a liberarmene… in fondo, non avrei perso nulla nel recarmi su quell’isola, anche solo per esplorarla o per dimostrare a me stesso che sicuramente non avrei trovato nulla.
Mi feci dare un insolito passaggio da un vecchio pescatore attraccato al porticciolo, dicendogli banalmente che avevo da fare delle foto per un articolo e, una volta affondati i piedi sulla sabbia, iniziai il mio cammino sull’isola, forse anche un po’ contrariato dalla sensazione di inebriante curiosità, la stessa che mi aveva portato fin lì. Camminai per un lungo tratto finché mi resi conto di essere un po’ più in alto rispetto al livello del mare, mi guardai intorno e, a qualche metro da me, vi era un salice che muoveva le lunghe fronde a destra e a sinistra, come accarezzando qualcosa. Mi avvicinai piano piano e sotto la vidi: era proprio la croce di cui parlava il teschio, una croce di legno scuro affondata nella terra, priva di qualunque segno o scritta. Preso da un irresistibile impulso, come in forma di rispetto, mi inginocchiai lì accanto e, seguendo ancora una volta il mio istinto, ripetei la dolce poesia del prigioniero verso dopo verso e, proprio quando stavo per terminare, sentii di nuovo una voce, stavolta femminile ma forse più lontana, che mi disse: – Non importa quanto sarà lunga l’attesa, segui sempre il tuo cuore!

Ancora oggi, quando penso a quello che avvenne quel giorno, mi sento invadere da un senso di tiepido e avvolgente mistero: varie le domande che mi sono posto, i dubbi, le congetture… Ma adesso, seduto nella mia poltrona comoda e accogliente, mentre seguo la rotta delle rughe che solcano le mie mani, mi piace pensare che forse sono stato scelto come l’ultimo testimone di questa fantastica storia perché sarei stato in grado di farne tesoro, scelto dunque come ultimo uditore del prigioniero che ha affidato proprio a me la sua più intima preghiera: quella di consegnare a Teresa il suo dolce messaggio d’amore ispirato dal cielo sopra la città del castello.


[1] Verso del poeta-custode Davide Aricò.

[2] Questa storia trae libera ispirazione dal racconto che viene effettivamente narrato dal custode a chi si reca in visita al castello di Aci Castello.

[3] Ci si scusa per eventuali errori di trascrizione del dialetto, ma il nostro povero straniero ha riferito meglio che ha potuto quel che udì quel giorno lontano. Inoltre, per chi è ancora più straniero dello straniero, riportiamo le parole del teschio in italiano: “Oh straniero che sei venuto da lontano, perché vuoi rendere ancora più pesante il mio destino amaro? Non vedi che del mio corpo rimane solo un cranio vuoto? Se il destino ti ha portato quassù un motivo ci sarà! Fammi un favore, in modo che la mia anima possa raggiungere il Creatore! Va’ in quell’isoletta e declama i miei versi sotto l’albero in cima alla collina, a quella croce nella terra che bacia da tanti anni il mio Cuore!”

Alice clandestina (via cielo)

Suspension of Disbelief
©Duy Huynh, 2012

La strada nei piedi
e il cuore in testa

Razionalità prendi il largo
lascia in me solo il sogno

Sospinta dalla fantasia
muta la bocca
gitana la mano

Raggiungo mete di confine
al limite del limite
torno in me
e riscopro le possibilità

Come un’Alice clandestina
naufrago su lidi inesplorati
Sapranno accogliermi?

Squilla l’immaginazione
vale la pena rispondere.

 

 

Abbandonarsi

La realtà quotidiana non è il solo dei mondi (e modi) possibili dove vivere la propria vita che spesso ha urgenze alternative, come quella di alienarsi nel luogo della fantasia dove, attraverso il pensiero o la penna, è possibile anche redimersi.

Un erbario di magia!

Uprooted Housing
©Duy Huynh, 2008

Molti erano i libri dell’enorme biblioteca comunale amministrata dal Sign. Fracassoli, ma uno di questi era diverso.
Era un libro con la copertina rivestita di foglie secche, composto da 1234 pagine che contenevano informazioni su tutte le tipologie di piante esistenti al mondo, ma non era questo che rendeva il libro particolare:era vivo! Non nel senso di occhi, bocca e linguaggio da dotto, era piuttosto portatore d’uno spirito sapiente che affascinava chiunque lo leggesse.
Non si conosceva il suo autore, molti di coloro che lo possederono per qualche tempo arrivarono quasi a credere che fosse stato redatto come una sorta di testamento dall’ultimo elfo rimasto sulla terra, e questo, non perché qualcuno li avesse informati di questo ma semplicemente perché era come se il libro avesse trasmesso loro tale segreto, quasi a livello inconscio.
Non si sa neppure come fece a resistere ai bombardamenti dei tedeschi in Polonia dove si trovava negli anni della guerra… Quel che è certo è che fosse sicuramente speciale!
Erano molte le stagioni passate da quando qualcuno lo aveva letto l’ultima volta… Nella Messina del XXIsec. , dove adesso si trovava, nessuno aveva ormai tempo per leggere: i tram attraversavano la città, le elezioni interessavano la popolazione che, stressata e nervosa, si scontrava salutandosi più che col sorriso con il grugno e, alla sera, esausta, gettandosi sul letto, finiva per colpire la lampadina con la pantofola pur di spegnerla in fretta.
Un giorno capitò che, vista l’inutilità apparente della biblioteca, si decise d’aprire al suo posto “TUTTO E SUBITO”, un grosso centro dove i cittadini messinesi avrebbero potuto, ancora più velocemente, pagare ATO, multe e quant’altro. Così i libri della biblioteca vennero smistati in due furgoncini: uno diretto al Museo Municipale con i libri più antichi, e un altro diretto all’inceneritore con i libri di nullo valore. Tra questi ultimi finì anche il libro in questione scambiato per un semplice erbario: se in città nessuno leggeva più, pensate che le piante avessero maggiore valore?
Ma, il potere direi magico del libro, operò misteriosamente anche questa volta.
Il camioncino viaggiava tranquillo per la strada rasente il porto quando, il conducente, rimase colpito alla vista di una cosa incredibile: un baobab in mezzo al mare!
Naturalmente era un miraggio ma il conducente finì comunque per perdere il controllo del veicolo
che si schiantò sul camioncino della frutta che lo precedeva. Gli sportelli posteriori del furgoncino si aprirono e i libri vennero catapultati fuori: sul selciato, in acqua, in mezzo alla frutta.
La cosa straordinaria però fu un’altra… Il nostro libro finì incredibilmente per arrivare sulla base della famosa Madonnina della lettera del porto di Messina. C’è chi dice che arrivò fin lì scivolando su una liana, chi che arrivò saltando sulle alghe emerse a ‘mo di sentiero dall’acqua salata: restano comunque voci di passanti e testimoni senza nome.
Non fu questa, difatti, la cosa sconvolgente, bensì gli esiti di tutto questo.
Da quel momento inspiegabilmente i cittadini di Messina presero a respirare a pieni polmoni, stanchi di guidare, riscoprirono il piacere di mettere un passo dopo l’altro, “TUTTO E SUBITO” non fu mai aperto perché ormai nessuno aveva fretta e, pur continuando a lavorare, la gente finalmente sorrideva e la sera, si andava letto solo dopo aver letto almeno due pagine di un buon libro:il cuoco uno d’economia; il contabile uno su come diventare esperti di vini; la casalinga un intrigante giallo. Solo a quel punto si spegneva la luce con un tocco leggero, e ci si appisolava tra i comodi cuscini…
Schhh… Buonanotte!

Magia a denti stretti

Magia a denti stretti
©Ylenia Riparante, 2013

Anche quel giorno, come tutti i sabati del mese, si era riunito il Tribunale del Paese delle Meraviglie per occuparsi delle questioni meno magicose ma più litigiose del Regno della Fantasia.
Come sempre, si sarebbe occupato del caso il Re di Cuori in veste di giudice, assistito dallo sguardo vigile e attento del Bianconiglio.
Il caso del giorno era però particolarmente insolito!

Pinocchio, avendo imparato la lezione, era diventato bambino già da un po’ e da tale amava fare tutto quello che i bambini delle fiabe fanno: giocare con Peter Pan nell’Isola che non c’è, arrampicarsi sul fagiolo magico con Pollicino, fare merenda con Hänsel e Gretel e molto altro.
Non c’era niente che non avrebbe reso felici il suo babbo Geppetto e la fata Turchina se non che, purtroppo, a Pinocchio ogni tanto continuava a scappare qualche bugia che la fata doveva prontamente cancellare con la magia.
Da quando era bambino infatti, la fata, non avendo più un naso da far crescere come punizione, non sapeva che fare se non cancellare direttamente la bugia appena detta da quel birbante con un bel tocco di bacchetta magica che tramutava le parole in nuvolette rosa che presto si dissolvevano, proprio come il fumo della pipa del Brucaliffo.
La preoccupazione di fata Turchina era, però, che Pinocchio così facendo non avrebbe mai imparato, senza contare che c’era in gioco anche la sua licenza di fata! Si sa infatti che le fate vengono assunte dalla Signora della Magia proprio per garantire la pace e il lieto fine delle fiabe e se questo non succede, vengono mandate in pensione e sostituite da fate più giovani e moderne come ad esempio le Winx.
E per Turchina era una cosa inaccettabile, soprattutto dopo aver cresciuto quel piccolo burattino!

Per questi motivi, dopo l’ennesima bugia, anche se piccola pur sempre sbagliata, Turchina aveva deciso di affidare la questione al Tribunale del Re di Cuori, il quale avrebbe certamente trovato una soluzione anche grazie all’aiuto della giuria presieduta dai genitori più in gamba del Regno: Aladin e Jasmine, Ariel con il suo Principe e Bella e Bestia, scelti tra tutti i personaggi del Regno perché simbolo del rispetto della diversità! Un principio fondamentale della legge fantastica era infatti proprio quello dell’uguaglianza tra ricchi e poveri e tra personaggi di specie e fiabe diverse che, ad esempio, potevano tranquillamente sposarsi.
Per tali motivi, nessuno meglio di loro avrebbe ascoltato a cuore aperto i vari casi, compreso quello di Pinocchio, nato burattino poi diventato bambino.
Il timore di Pinocchio, infatti, era proprio quello d’essere ritrasformato in burattino, cosa che lo rendeva molto triste e spaventato, perché quella pelle morbida morbida gli piaceva proprio tanto e oltretutto gli dava molti vantaggi: quando andava al mare poteva bagnarsi senza paura di rimanere fradicio per giorni, e in particolare, poteva sperimentare il nuoto subacqueo senza galleggiare come un tronco!
Mogio mogio, quindi, si sedette al suo posto in attesa di conoscere il suo destino!

La fata Turchina ovviamente non avrebbe mai voluto che si arrivasse a quel punto, infatti il Re di Cuori (che, nonostante fosse una carta, sapeva leggere bene nel cuore della gente), dopo aver ascoltato tutte le testimonianze, d’accordo con la giuria, pensò bene ad un’altra soluzione che avrebbe reso felici contemporaneamente più persone.
Pinocchio non aveva più un naso di legno certo, ma aveva un’altra cosa, o meglio ben altre venti cosine bianche in bocca che potevano fare al caso loro!
Dal momento che prima o poi sarebbero dovuti cadere comunque, il Re decise che per ogni bugia al Pinocchio bambino sarebbe caduto un dentino, che poi, comportandosi bene, sarebbe a poco a poco ricresciuto.
E poiché nelle fiabe, si sa, ognuno ha il suo compito, di questa magia non si sarebbe più occupata Turchina, bensì la fata Dentina.

Così tutte le cose tornarono al loro posto e Turchina, grazie all’aiuto di Dentina, poté anche prendersi un bel periodo di vacanza insieme a Smemorina!
Perché quando si fan le cose tutti insieme è come se si curasse lo stesso seme e alla fine non ci resta altro che dire sorridenti: Vissero tutti felici e contenti!