“È già mattina”: gioco di confini nel nuovo libro di A. Samonà

copertina E' già mattina“Ora non solo sembra, ma esiste appieno
ciò che ieri è stato spostato,
ciò che è caduto sul pavimento,
ciò che è racchiuso nelle cornici.”
W. Szymborska

Leggere È già mattina (il nuovo libro di Alberto Samonà pubblicato da Bonanno Editore) significa incontrare e interrogare il senso di una filigrana narrativa che, attraverso una ricostruzione micro e macro-storica, e quindi calata in una contestualità spazio-temporale ben definita, attinge a una dimensione che sconfina, con altrettanta consapevolezza espressiva, nell’universale.
Se, infatti, il rapporto tra “particolare” e “universale”, dentro e sopra la Storia, è sempre insito in un’occupazione feconda dello spazio narrativo, qui la dimensione storica, lungi dall’essere ostacolo al lievito dell’universale, diviene addirittura complice del gioco di confini, tempi e spazi che articolano la narrazione, e la aprono a una nuova e peculiare con-testualità ricreata dalla coscienza del/i narratore/i e dei personaggi. Il titolo condensa già il gioco di confini spazio-temporali (e dunque identitari) che caratterizza la narrazione: all’indicazione di tempo si accompagna un avverbio (sempre di tempo) che implica e tradisce un punto di vista: “già” rispetto a cosa, soprattutto rispetto a chi? Nella cornice storica si versa, dunque, già dal titolo, il senso di una coscienza che, attraverso la parola, dà un significato fluido e problematico alle presenze della Storia stessa: abbiano esse tenere e umili coloriture affettive, rarefatti contorni di visioni o cupe ombre del/i Potere/i. Il caratteristico gioco di confini, piani e punti di vista, inquadra in una circolarità imperfetta, aperta e spiraliforme, attraverso una misura stilistica semplice e profonda, la storia di Alessandrina… che poi altro non è che la storia di una ricerca e ricchezza personale, sullo sfondo parlante e silente dei Luoghi di Sicilia… che poi altro non è che la Storia di una perdita e povertà collettiva. Al di là di ogni possibile nostalgia conservatrice (che sarebbe, per l’appunto, fuori-luogo), la recherche di Alberto Samonà consegna nel complesso il senso della Bellezza, e dunque della Responsabilità, della Parola colta nei giardini della Storia nel suo compito di memoria, amore e tensione di verità, al di là di schemi ideologici e scontati giudizi; in definitiva, nel suo compito di speranza e armonia: ecco perché i bambini di ieri e di oggi popolano la domenica mattina del finale.
Tutti i fili e confini che percorrono il tessuto narrativo (passato/presente, apparenza/essenza, tradizione/innovazione, visibile/invisibile, giorno/notte, sonno/veglia, corpo/spirito, vita/morte), confluiscono sulla linea metaletteraria del chiaroscuro parola-silenzio, nella sua duplice valenza. Da una parte il Silenzio che circonda l’anima delle cose e consente a una parola rispettosa e attenta di ricrearla; dall’altra il silenzio connivente e meschino di chi vorrebbe calare a proprio uso e consumo i sipari della Storia, e contro il quale insorge quella “coscienza” della quale si diceva sopra, a motivare l’azione narrativa e restituire, attraverso di essa, dignità e autenticità a percorsi umani e culturali.
È allora la creazione narrativa a “dividere il giorno dalla notte”, senza rigidi e bruschi scatti, né confusioni relativistiche: a rendere il senso e il segno complesso, fluido e profondo, della Storia e delle storie; come della coscienza che, poi, quella stessa Storia incontra, ricostruisce e “spiega”… e, in qualche modo, “cambia” (persino col paradosso della propria gattopardesca incapacità), dando di volta in volta agli eventi echi trascendenti, bagliori di tenerezza e lievi lampi d’ironia… Come nel commento del narratore di fronte alla meraviglia di un ex-incredulo: “Cose che capitano”… A fare da vivace spartiacque espressivo tra il nostro noto pragmatico e rigido presente e una Realtà piu’ ampia, stratificata e palpitante, aperta al soffio dell’Ideale, che, nondimeno, si afferma con tutto il suo richiamo di meraviglia, da custodire e rinnovare. Con una responsabilità delle proprie azioni-parole, e della propria storia, che non può essere, e infatti non viene, lasciata al caso.