Lettera ad Anna

K. Knightley“Doveva esserci una ragione,
anche se all’apparenza irrilevante,
ma questo non lo svelerà neppure la Nuda Verità
occupata a rovistare
nel guardaroba terreno.”
W. Szymborska

Cara Anna,
non c’è sipario per il dolore: è passato il treno di questa frase a coagulare tutto ciò che lavora, vive e muore in me; ad addensare lo scenario di questo nuovo spazio da aprire, affollare le figure sulla rotaia dell’essere.
L’interrogativo che inauguro tra i binari di queste righe, mosse e bloccate dal tuo ricordo, è il seguente: “Che forma ha la libertà?”, ovvero qual è il rapporto tra forme artistiche e dimensioni esistenziali, tra trasformazioni, operate dall’Arte, e conformismi, operati dalla società?
Le partiture, piu’ o meno aperte, d’occasioni e identità all’interno del testo letterario, tra occasioni dell’identità e identità d’occasione, rendono e marchiano artisticamente accenti di significato, in varie combinazioni formali attraverso le quali si esprimono le “scelte” dei personaggi, e il relativo rapporto con lo sfondo sociale. Viene quindi a crearsi dentro la pagina un intreccio di rifrangenze, tra identità ed eventi che attivano e/o frustrano significati individuali, a loro volta strettamente connessi all’occasione storica che li ha generati. Ovviamente la dimensione artistica interconnessa dell’ “identità” e dell’ “occasione” varia notevolmente nel corso della storia della letteratura, proprio per il suo forte significato culturale: dalla dimensione pura profonda della tragedia che colloca un iter identitario all’interno d’un mosaico fatale (che ne regge il gioco di senso complessivo, pur facendosi, però, sempre piu’ pieno d’increspature d’humanitas, in grado di toccare con l’arte la radice dolorosa e conflittuale dell’esperienza umana sul fondale sociale), alla terra di confine euripidea, con le molteplici increspature dialogiche, fino al romanzo polifonico di Dostoevskij; dall’occasione provvidenziale in Manzoni alla dimensione umoristica e metatestuale di Pirandello come crepa sul nulla… Si passa dall’ “occasione sensata”, divino-fatale-provvidenziale, al caso, quello che accade e “cade” in testa all’ ex-eroe e ne dirige i flussi identitari; salvo, poi, arrivare all’assurdo artisticamente felice di un nuovo dio, pardon diavolo, ex machina, a “recuperare” una qualche dimensione paradossalmente teleologica nel caos degli eventi… “Il mattone, senza una ragione,” interruppe con tono grave lo sconosciuto “non cade mai in testa a nessuno. Del resto, le garantisco che lei non è minacciato da nessun mattone. Lei morirà di un’altra morte. […] Misurò Berljoz con un’occhiata, come se dovesse confezionargli un vestito […]”[1].
Le “leggi non scritte” di Antigone, l’eccezionale auto-nomia conformisticamente vuota e creativamente piena di Pippi Calzelunghe, che si può permettere anche il lusso psicologico-linguistico d’inventare prima la parola (spunk) e poi trovare la cosa; l’auto-nomia nichilistica destinata al fallimento e poi alla redenzione di Raskol’nikov, a differenza del successo del tutto casuale, appunto, del collega cinematografico (piu’ opportunista che nichilista, in verità) di Match Point (2005, regia di W. Allen). All’opposto, l’inconsistenza psicologica, dalla resa artisticamente vertiginosa, di Lolita, che non può affrancarsi dalla dimensione di “creatura”: di Humbert, della pubblicità…, dai cui riti meccanici (auto)consumistici (esperienza sessuale compresa) tenta invano di trarre linfa identitaria; l’oscillazione intermedia, problematica ma non traumatica, della vittoriana Alice che non ha fretta di crescere, o diminuire (a dispetto di quello che mangia e beve, mentre Lolita mastica invano), e con la sua identità prende tempo e spazio per chiedere e capire “le regole del gioco”… fino a collocarsi in modo piu’ maturo all’interno della scacchiera artistica di Carroll. Ché tanto poi, da grandi, se non si bruciano le tappe e le pagine, può capitare comunque di dover fare accordi col Diavolo, com’è successo a Margherita: una scelta etica e anticonformistica d’amore che va di pari passo con la frantumazione estetica del “reale”, colto nella sua rigida illusorietà. Ecco perché capolavori come Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie, Il Maestro e Margherita e Lolita, possono essere letti anche come un processo estetico-etico, rispettivamente, all’assurdo vittoriano, all’assurdo sovietico e all’assurdo consumistico. E non sembra per niente casuale che nell’attuale Italia in cerca d’autore, alle prese con decenni d’assurdo berlusconiano, ci siano uno show e un romanzo satirici che evocano due delle opere sopracitate (rispettivamente, Crozza nel Paese delle Meraviglie, e Lolito di D. Luttazzi). Da Oreste a Mitja Karamazov, passando per Amleto, ogni testo, come ogni testa, è un tribunale (e un teatro), nel quale l’autore ricrea col suo lungo e vario sguardo artistico l’intreccio conflittuale d’un dramma interiore e d’uno sguardo sociale: tra sfavillanti caliginosi strabismi e la dritta miopia dell’ occhio della gente… (del resto, anche la morte ha per tutti uno sguardo).
Dal malocchio al Grande Fratello, insomma, Anna, non abbiamo piu’ smesso di guardarti: la sceneggiatura metateatrale, carillon-matrioska effetto casa di bambola, dell’ennesimo film che ti hanno dedicato (2012, regia di J. Wright), incontra il caos di scena di questo primo grado critico, mentre agli sguardi dei tuoi contemporanei si aggiungono i nostri… A condensare il carico del giudizio, a misurare lo scarto dalla norma, il rapporto tra il “gioco delle parti” e la ricerca di verità umana e artistica… sempre su misura; mentre il significato d’economizzatore psicologico e regolatore sociale dei conformismi resta immutato nel tempo e taglia unica. Spesso la ricerca su misura al telaio d’una pagina, passa, dal grande multiforme amore, ai codici chiaroscurati di verità di miseri costumi di scena (siamo sicuri che l’abito non faccia il monaco?): berretti, marsine strette, vestiti nuovi… calzini spaiati… in modo che qui anche “Niente” e “Nessuno” abbiano un loro cielo e una loro identità di carta.
Ciò non toglie, mia cara Anna, ora come allora, che non ci sia sipario per il dolore.
Solo stazioni.

[1] M. Bulgakov, Il Maestro e Margherita, BUR, Milano 2000, p. 39.

C’è una volta… One Billion Rising

one-billion-rising_logoC’è una volta… il 14 Febbraio 2013, One Billion Rising: anche qui c’era di mezzo un ballo, solo che non si trattava di un ballo per essere scelte, ma di un ballo per scegliere, non era questione di prìncipi, ma di princìpi… Le donne e gli uomini che vi hanno partecipato non dovevano dimostrare qualcosa a qualcuno, ma volevano semplicemente esser-ci… Cosa significa “esser-ci”?
Capita che le nostre azioni non siano sorrette da scelte autentiche, che dentro i nostri gesti non si disegnino speranze, ma si consumino (e ci consumino) riti meccanici chiusi in ricadute pratiche immediate. Ci siamo cioè socialmente abituati alla strettoia dello scopo utilitaristico, e diseducati all’orizzonte del significato… Il niente del “nessuno fa niente per niente” è un terreno fertile anche per la violenza: dove non c’è il tempo, lo spazio, il modo, di dare senso a se stessi e agli altri, la dimensione del possesso diviene l’unica, fragilissima, via di “soddisfare” i propri bisogni identitari e relazionali… Il problema è proprio questo: tra la tragedia (spesso annunciata) e l’opacità del quotidiano, c’è tutta la banalità del male: una miriade di insensatezze e connivenze culturalmente nutrite. E’ facile dire “no” di fronte a una vita stroncata, ma chiediamoci seriamente quanto spazio e dignità sappiamo dare alla nostra libertà e a quella di un figlio/a, allievo/a, fidanzato/a, marito/moglie… Riflettiamo su quanto l’idea mitica della “femminilità” oscilli ancora pericolosamente e stupidamente tra il modello-Mulino Bianco e il modello-Playboy, tra l’accudimento e la provocazione, come se l’ ESSERE DONNA si riducesse comunque a un compiacere di vario tipo i bisogni degli altri.
Riflettiamo, dulcis in fundo, sulle parole che rendono questi schemi-aspettative culturali: l’innocuo desiderio di una mamma in attesa di avere una figlia femmina “così te la vesti come vuoi”; la normale gelosia del povero padre destinato (nel migliore dei casi) a mandare giu’ bocconi amari durante l’adolescenza della figlia ormai cresciuta, che magari, nel frattempo, avrà pure trovato un ragazzo innamorato, molto innamorato, che le dice come vestirsi! Che ragazza fortunata! Oppure pensiamo alla bonaria indulgenza di un’espressione come “scappatella”, di contro alla pesantezza di epiteti che (guarda caso) non contemplano nemmeno la forma maschile! Imparare a esprimersi e ad accettare l’espressione dell’altro, chiamare le cose col loro nome, eventualmente inventando nuove parole se quelle che abbiamo non bastano o non sono piu’ adeguate, significa proteggersi dalla logica del possesso, in tutte le sue forme: da quelle culturalmente ammantate di paternalistica benevolenza, a quelle piu’ brute.
Ballare insieme allora, è stato intanto utile a darci reciprocamente senso e dignità, a riconoscerci in quanto esseri umani, a prescindere dal potere sociale esercitato; a segnare e sognare col nostro corpo la possibilità dell’espressione e dell’incontro, opposti alla censura esistenziale e al possesso. La bacchetta di una fatina che ci concia per le feste e l’infatuazione di un principe non cambieranno la Storia: ma il 14 Febbraio 2013 nelle piazze abbiamo tutti lasciato un pezzo di gioiosa consapevolezza, e, ne sono sicura, saremo NOI a tornare a riprendercela.

Italia in cerca d’autore

nabokov-timeMi onoro di rappresentare l’Italia in cerca d’autore ri-tagliata fuori da un certo tipo di rappresentazione dell’Italia. Certo, so che, oggi piu’ che mai, la “realtà” coincide con la sua rappresentazione, e che questo fondamentale assunto che nell’Arte significa possibilità di comprensione polisemica, e trasformazione liberatoria, nel Potere della Propaganda, significa, al contrario, istituzione di sensi unici, vicoli ciechi del pensiero, necessità.
Quando Nabokov, tra una caccia di farfalle e l’altra, imprigiona tra le righe una certa Lolita, sta, al tempo stesso, s-prigionando un tenero strazio di nuova bellezza e illuminando i paradossi di una società che ci “crea” come oggetti-soggetti di propaganda, come detentori di una sbandierata “libertà” cannibalesca, o di una, altrettanto sbandierata, meccanico-pacifica assenza di libertà (non c’è bisogno di dire quale film sintetizza ad arte tutta la violenza di questa polarità). Ora, la “libertà” che sembra consistere nell’avere i soldi per adeguarsi al modello creato dalla pubblicità, instaura uno stagnante circolo vizioso, nel quale la mia Lolita si fa, da creatura d’arte e d’amore, icona di stile per teen-ager giapponesi; Alice diviene la povera vittima di un pedofilo, e pure drogato, nei commenti su facebook di persone che non hanno idea del confine tra l’opera, l’autore, la persona, il personaggio… Ecco, a mio avviso, l’humus, non prettamente italiano, per il quale poi, gli stessi commentatori perbenisticamente inconsapevoli di facebook si voteranno a Santo Silvio, immaginetta ideale in quanto a soldi e successo, e squisitamente reale in quanto a vizi (certo, entro i limiti del maschilismo!).
Abbiamo creato, piu’ o meno in malafede, una società che si nutre della contrapposizione semplicistica tra mostri ed eroi, buoni e cattivi, che perde gli strumenti culturali per interrogarsi sul marcio e sul bello possibile che c’è alle sue stesse radici, su quale spazio vuoto e su quali bellezze e verità tradite di tutti si innestano le mostruosità e gli eroismi di pochi. Io, per inciso, non vorrei sentire che Falcone e Borsellino sono degli “eroi”, delle icone postume di una partita persa in partenza, ma un pezzo massimamente dignitoso e umano troppo umano della realtà, della MIA realtà.
Non può chi conosce l’illusione libera e fertile dell’Arte, permettersi l’illusione prigioniera e sterile che la “realtà” italiana sia solo la sistemica e sintetica costruzione del berlusconismo, ben congegnata, certo, ma fino a un certo punto… Non basta far precedere un discorso dallo stilema C’era una volta, per attingere alla fonte della fiaba, non basta sostituire Shahrazàd con Maria De Filippi per avere Le mille e una notte… Se è per questo abbiamo anche artisti della satira (Crozza, Guzzanti, Littizzetto…) per disinnescare i soporiferi ingranaggi e disincantare i posticci incanti…
La risposta politica che viene dalla cultura dell’arte (non a caso fatta a pezzi non solo dal governo Berlusconi) consiste nell’avere una riserva di fantasia e ironia per educare ed educarsi a non sentirsi obbligati a sentirsi liberi di essere come tutti gli altri… Confesso qualche imbarazzo storico, qualche pessimistico mal di pancia, qualche guerra fredda interiore, a stare tra le cenerentole sovietiche, le biancanevi disneyane (avete notato che i nani si risolvono ad ospitare la bella principessa solo quando lei offre loro i suoi servigi domestici?), le lolite giapponesi, le –ine italiane, e le difficoltà opposte e complementari di contesti culturali vicini e lontani… Il punto è che un corpo non dovrebbe essere una dimostrazione, di nulla; ma il modo che abbiamo per sentire il mondo.
Essere non è dimostrare, e mettere l’identità sotto bandiere o artigli, per questo giuro da italiana che se mi si chiede una parola che comincia con la “B” penso subito, ancora, a “Bellezza”…
Se me ne si chiede una con la “F”… ,ora piu’ che mai, “Fantasia”; … o tutt’al piu’ “Farfalla”, ricordandomi di Nabokov, ovviamente.
E delle ali che cerco.

La stella e la neve

A Midsummer Night's Dream
©Arthur Rackham, 1908

In una sera d’inverno, la neve si lamentava della sua solitudine: non un bimbo, non un fiore, non un musetto di animale. E nemmeno un alito di vento.
Dallo sconforto, cominciò a sciogliersi in pianto e diventò, così, un laghetto fresco e grazioso.
All’improvviso, nel piccolo specchio d’acqua, si affacciò curiosa una stella e si mise allegramente a giocare.
La neve cessò di piangere e, ridivenuta compatta, tenne per sempre la stella stretta fra le sue braccia e non rimase mai più sola.
Soltanto nelle notti di primavera, quando la neve corre verso il mare, la stellina torna a casa sua, in cielo, arrampicandosi sui rami di un vecchio albero amico.

Una freddissima sera di Febbraio 

Magia a denti stretti

Magia a denti stretti
©Ylenia Riparante, 2013

Anche quel giorno, come tutti i sabati del mese, si era riunito il Tribunale del Paese delle Meraviglie per occuparsi delle questioni meno magicose ma più litigiose del Regno della Fantasia.
Come sempre, si sarebbe occupato del caso il Re di Cuori in veste di giudice, assistito dallo sguardo vigile e attento del Bianconiglio.
Il caso del giorno era però particolarmente insolito!

Pinocchio, avendo imparato la lezione, era diventato bambino già da un po’ e da tale amava fare tutto quello che i bambini delle fiabe fanno: giocare con Peter Pan nell’Isola che non c’è, arrampicarsi sul fagiolo magico con Pollicino, fare merenda con Hänsel e Gretel e molto altro.
Non c’era niente che non avrebbe reso felici il suo babbo Geppetto e la fata Turchina se non che, purtroppo, a Pinocchio ogni tanto continuava a scappare qualche bugia che la fata doveva prontamente cancellare con la magia.
Da quando era bambino infatti, la fata, non avendo più un naso da far crescere come punizione, non sapeva che fare se non cancellare direttamente la bugia appena detta da quel birbante con un bel tocco di bacchetta magica che tramutava le parole in nuvolette rosa che presto si dissolvevano, proprio come il fumo della pipa del Brucaliffo.
La preoccupazione di fata Turchina era, però, che Pinocchio così facendo non avrebbe mai imparato, senza contare che c’era in gioco anche la sua licenza di fata! Si sa infatti che le fate vengono assunte dalla Signora della Magia proprio per garantire la pace e il lieto fine delle fiabe e se questo non succede, vengono mandate in pensione e sostituite da fate più giovani e moderne come ad esempio le Winx.
E per Turchina era una cosa inaccettabile, soprattutto dopo aver cresciuto quel piccolo burattino!

Per questi motivi, dopo l’ennesima bugia, anche se piccola pur sempre sbagliata, Turchina aveva deciso di affidare la questione al Tribunale del Re di Cuori, il quale avrebbe certamente trovato una soluzione anche grazie all’aiuto della giuria presieduta dai genitori più in gamba del Regno: Aladin e Jasmine, Ariel con il suo Principe e Bella e Bestia, scelti tra tutti i personaggi del Regno perché simbolo del rispetto della diversità! Un principio fondamentale della legge fantastica era infatti proprio quello dell’uguaglianza tra ricchi e poveri e tra personaggi di specie e fiabe diverse che, ad esempio, potevano tranquillamente sposarsi.
Per tali motivi, nessuno meglio di loro avrebbe ascoltato a cuore aperto i vari casi, compreso quello di Pinocchio, nato burattino poi diventato bambino.
Il timore di Pinocchio, infatti, era proprio quello d’essere ritrasformato in burattino, cosa che lo rendeva molto triste e spaventato, perché quella pelle morbida morbida gli piaceva proprio tanto e oltretutto gli dava molti vantaggi: quando andava al mare poteva bagnarsi senza paura di rimanere fradicio per giorni, e in particolare, poteva sperimentare il nuoto subacqueo senza galleggiare come un tronco!
Mogio mogio, quindi, si sedette al suo posto in attesa di conoscere il suo destino!

La fata Turchina ovviamente non avrebbe mai voluto che si arrivasse a quel punto, infatti il Re di Cuori (che, nonostante fosse una carta, sapeva leggere bene nel cuore della gente), dopo aver ascoltato tutte le testimonianze, d’accordo con la giuria, pensò bene ad un’altra soluzione che avrebbe reso felici contemporaneamente più persone.
Pinocchio non aveva più un naso di legno certo, ma aveva un’altra cosa, o meglio ben altre venti cosine bianche in bocca che potevano fare al caso loro!
Dal momento che prima o poi sarebbero dovuti cadere comunque, il Re decise che per ogni bugia al Pinocchio bambino sarebbe caduto un dentino, che poi, comportandosi bene, sarebbe a poco a poco ricresciuto.
E poiché nelle fiabe, si sa, ognuno ha il suo compito, di questa magia non si sarebbe più occupata Turchina, bensì la fata Dentina.

Così tutte le cose tornarono al loro posto e Turchina, grazie all’aiuto di Dentina, poté anche prendersi un bel periodo di vacanza insieme a Smemorina!
Perché quando si fan le cose tutti insieme è come se si curasse lo stesso seme e alla fine non ci resta altro che dire sorridenti: Vissero tutti felici e contenti!