A maggio, nelle strade e nelle piazze di Palermo fioriscono ragazzi dai sorrisi profumati di speranze. Il primo luogo a sbocciare è il porto: braccia che sventolano dalle “navi della legalità” come bandiere al vento impalpabile e delicato del futuro, nell’abbraccio festoso del cielo siciliano. Altre braccia rispondono dalla banchina, altri sorrisi arrivati da ogni parte d’Italia, legati dal filo d’oro dell’entusiasmo e dell’impegno contro ogni ostacolo alla realizzazione dei loro sogni: che siano loro gli Italiani finalmente “fatti”, che Massimo D’Azeglio auspicava nell’Italia ormai nata?
In effetti, si assomigliano tutti, come fratelli: sono teneri ma decisi, leggeri ma seri, gioiosi ma caparbi e determinati a raggiungere la loro meta.
Sono fra loro anche gli allievi del Liceo Scientifico “G. Galilei” di Spadafora (Messina), protagonisti entusiasti e consapevoli di un percorso di alto valore educativo, iniziato fra le pareti delle loro modeste aule, in mezzo alle difficoltà che ogni scuola pubblica conosce, ma sostenuti dalla passione e dalla fede degli invincibili anni della giovinezza. Hanno toccato con mano il lato oscuro del loro territorio, si sono imbattuti in storie difficili e drammatiche, di cui, benché tanto vicine, non sospettavano l’esistenza, ma dalle quali hanno saputo trarre monito e speranza.
Ora sbarcano, confusi in un mare di emozioni, invadono Palermo, come a riprendersi la terra che il destino ha da sempre assegnato a loro, come ad abbracciarla dopo aver rischiato di perderla per via dell’interminabile scempio che ne è stato fatto, come a ritrovarne il volto straordinariamente bello, nonostante le ferite e gli oltraggi lungamente patiti.
Non c’è dubbio: oggi questa primavera ha l’espressione dei loro volti, questo vento la musica della loro voce; e, forse, era maggio anche quando Abd ar-Rahmàn, poeta arabo di Sicilia, dieci secoli fa, ne ricordava, esule, la fertile bellezza:
… sopra i rami, i frutti
tremavano qual seni di ragazze belle
e come rami di salice ben snelle.[1]