Paolo Di Paolo, “Mandami tanta vita”: la vicenda di Gobetti come paradigma di giovinezza pienamente vissuta

copertina Mandami tanta vitaLa giovinezza non può attendere: vive, scoppia, si espande, irrompe, nonostante l’insidia di anni carichi di funesti presagi.
È la giovinezza ardente e generosa di Piero, che si guarda attorno nella sua Torino grigia e un poco uggiosa degli anni Venti del Novecento, ma contemporaneamente guarda lontano e non si lascia chiudere l’orizzonte da un ambiente che si farà sempre più minaccioso e ostile.
Per questo, “un po’ Mazzini, un po’ Charlot”[1], andrà a Parigi, la città dove “girano come cani randagi poeti e pittori morti di fame”[2] e anche esuli affamati di libertà: “Non è la libertà, ciò a cui va incontro?”[3].
Egli è animato da grandi ideali e possiede la forza dell’intelligenza e della parola, le sue armi contro l’ottusità e la violenza che contribuiranno, sì, alla sua fine precoce, ma non potranno impedirgli di arrivare al futuro, lasciando un esempio che agirà come lievito nella formazione della coscienza morale e politica delle nuove generazioni.
E non può aspettare il cuore, che si affida con lucidità e tenerezza alla giovane Ada (“Purché piaccia ad Ada, io sono contento”[4]), lei, che “nel bambino chiuso, nel ragazzino sfottente che Piero era stato, aveva aperto un varco”[5], Ada, nome che “gli sembrava di leggere nell’insegna dei negozi, nei cartelloni delle strade, breve, sconfinato… e si sentiva di stare al sicuro in quel nome come in una tana”[6]; giovane sposa e compagna di speranze e di dolori, “ragazza che da qualche mese era già madre da sempre”[7], destinata a restare troppo presto sola con Paolo, il loro Pussin, pulcino, che non conoscerà suo padre e che il padre voleva che restasse italiano.
Sono pochi ma maturi gli anni di Piero (e quanto testimonia a riguardo la sua biblioteca, che contiene Serra, Tasso, De Sanctis, Papini!); sono pochi, ma l’intensità (“Partiva per Firenze, per Roma, vedeva Salvemini, vedeva Gentile”[8]…) e la caparbietà con cui sono vissuti (“Basta volerle le cose…Basta infinitamente volerle”[9]) sembrano moltiplicarli e infittirli, dando compiutezza a un’esistenza tanto breve.
Parallelamente alla sua si svolge la vita di Moraldo, giovane studente di Lettere che, dopo una prima fase di istintiva antipatia, ammira e segretamente un poco invidia le qualità di Piero, che vorrebbe incontrare e magari imitare, ma che le strane alchimie del caso gli consentono solo di sfiorare; tuttavia, forse, la notizia della sua morte darà finalmente una sferzata e una direzione al futuro di Moraldo, bloccato dall’indecisione e avvolto nell’incertezza: l’altra faccia dell’età giovanile.
A lui, nel gioco degli incontri orditi dalla sorte, una valigia scambiata aveva fatto conoscere una giovane fotografa, Carlotta, ma non era stato l’amore: di lei gli sarebbe rimasto un “ritaglio di fotografia davanti agli occhi, come un santino nelle mani di chi sente di aver perso Dio”[10]. Moraldo dovrà faticosamente imparare che è più facile ritrovare una valigia smarrita che la propria strada e se stessi.
Paolo Di Paolo, in questo libro interamente giovane, ma artisticamente maturo, soprattutto nella naturalezza con cui il dato storico si fa elemento elegiaco e il lirismo del linguaggio si fonde con la sua nitida precisione, trasforma la vicenda straordinaria e drammatica di Piero Gobetti in un paradigma di giovinezza pienamente vissuta, appassionata e struggente nella sua tragica brevità, destinata a dilatarsi ed estendersi in molte altre future giovinezze.

 

[1] P. Di Paolo, Mandami tanta vita, Feltrinelli, Milano 2013, p. 73.

[2] Ivi, p. 78.

[3] Ivi, p. 50.

[4] Ivi, p. 88.

[5] Ivi, p. 89.

[6] Ivi, p. 91.

[7] Ivi, p. 31.

[8] Ivi, p. 47.

[9] Ivi, p. 31.

[10] Ivi, p. 149.

Annunciazione

Virgin and Child
©Boccaccio Boccaccino, 1510s

Ali danzano
intorno al tuo stupore,

la fiumana dei secoli
s’affaccia
sull’alba del tuo volto

scorre
fra le tue mani.

Ma cosa fissa
assorto
il tuo sguardo

lontano?

 

 

Mater

Non l’aria sfiorata da ali sovrannaturali o la missione stupefacente appena annunciata, non la venerazione ininterrotta dei secoli futuri o lo sguardo divino che l’accarezza dall’eternità, ma il figlio subito accolto e amato, il figlio dal destino sublime e tragico occupa il cuore, i pensieri e lo sguardo di lei, improvvisamente madre, e per sempre.

Chiara d’Assisi

Fratello Sole, Sorella Luna
Fratello Sole, Sorella Luna (1971) di F. Zeffirelli

Chiara, luce che brucia
nella notte di coraggio,

canto pianto
miracolo tormento,

Chiara crudele e santa
fraterna solitaria,

radice di quercia
taciturna corolla,

Chiara, gentile profumo
infinito
di pane e di luna

 

Assisi
(A Chiara e Francesco)

Il fruscio della luna
fra i tuoi alberi,

sereni i sassi
e i cuori.

Al nuovo sole
piedi scalzi
in cammino
fanno girare il mondo.

 

 

A piedi nudi

Tutto è semplice, dolce e sereno nella luce silenziosa e amicale; i passi nudi non fanno rumore, ma lasciano il segno.

Il lupo fuori dalla… fabula

Un lupo
©Peter Rindisbacher

Il lupo, che non ne poteva più di stare in fabula, decise di prendere una boccata d’aria nuova e, atteggiamento noncurante, ma occhio vigile e orecchie ben drizzate, si avviò verso la città, dove si diceva che abitassero quegli uomini che da sempre sparlavano di lui.
Così, si ritrovò presto in mezzo ad un viavai di gente e di strani scatoloni metallici che si muovevano in tutte le direzioni freneticamente e senza un ordine comprensibile, producendo rumori indiavolati e sporcando pure l’aria, tanto che a lui cominciava a mancare il respiro; solo il rosso dei semafori li fermava per un brevissimo tempo, ma gli occhi del lupo non distinguevano i colori, quindi, la sua confusione era totale.
Questo disorientamento fu notato da un corvo, che aveva preso dimora tra le fronde di un grande faggio, presso un vecchio palazzo, dopo che qualcuno lo aveva fatto nero perché la bestiola proprio non riusciva a farsi i fatti suoi.
“Ehi, amico”, gracchiò il corvo dalla cima del suo rifugio,  “quale cattiva ventura ti porta da queste parti? Non sai quanto è pericolosa la foresta degli uomini per uno come te che non può volare, all’occorrenza?”.

Il lupo, in verità, cominciava a rendersi conto dei pericoli che correva e in cuor suo diede ragione a quell’uccello del malaugurio, ma, con il cammino e la consapevolezza del rischio, era cresciuto anche il desiderio di conoscere quegli esseri strani che si muovevano su due piedi (e per questo al lupo apparivano molto instabili e squilibrati) e sembravano avere sempre fretta di andare chissà dove, di fare chissà cosa, senza mostrare curiosità per alcunché: solo affrettarsi verso un qualche luogo misterioso, che il lupo ormai aveva deciso di scoprire.
Pertanto, li seguì a lungo, impresa, in verità, non difficile, perché ce n’erano dappertutto e, tutto sommato, non gli davano fastidio, anzi lo degnavano appena di uno sguardo, ma non apparivano né sorpresi della sua presenza né interessati a lui, anche perché, spesso, non badavano nemmeno alla strada che percorrevano, mentre parlavano da soli, a voce alta, con uno strano arnese appoggiato ad un orecchio, forse, ipotizzò l’animale, per invocare aiuto da qualcuno (di solito, parlando, guardavano in alto o lontano), contro un pericolo che li minacciava e di cui lui non poteva rendersi conto.
Eppure…per qualche motivo a lui del tutto ignoto, questi esseri così distanti e indifferenti nei suoi confronti, non avevano esitato a raccontare ripetutamente della sua cattiveria…

Citta
©Maurizio Tangerini

Si avvide, finalmente, che la loro fretta si spegneva spesso in grandi spazi coperti, dov’era esposta tantissima merce (lui era un vecchio lupo e non sapeva che quei campi immensi, dove fiorisce tutto ciò che è inanimato, si chiamano centri commerciali) e lì si riempivano le borse di prodotti d’ogni genere, con la stessa voracità con cui lui in tutte le loro favole si era regolarmente riempita la pancia di pecore e di agnelli. “Forse mangiano tutta questa merce”, provava a ragionare il lupo, “ma”, aggiungeva perplesso, “ci sono oggetti che nemmeno i miei denti, tanto più potenti dei loro, riuscirebbero a frantumare”.
Poi dovette constatare che potevano fare anche di peggio: urlare, agitarsi, litigare come… bestie, quando qualcuno tentava di scavalcare qualcun altro nella fila, davanti ad uno strano arnese, dove ad un loro simile tutti pagavano una specie di pedaggio.
“Forse”, si sforzava di capire il lupo, “ questo è passato avanti perché è più affamato degli altri”, ma in verità, questa ipotesi, appena formulata, gli appariva subito piuttosto debole.
Talvolta, per strada, nonostante la fretta che sempre li assillava, capitava che alcuni si fermassero e se le dessero di santa ragione; talaltra, il lupo lo intuiva (non era moderno, ma il fiuto non gli mancava), qualcuno dall’aria più furba tendeva un tranello ad uno meno avveduto: insomma, fretta e lotta dominavano la città degli uomini, e i più deboli se ne tornavano regolarmente a casa con le ossa ammaccate.

Il lupo tenne in osservazione gli uomini per alcune settimane, prima di giungere a qualche fondata conclusione su di loro (ché lui era un lupo, ma non privo di scrupolo, checché se ne dicesse, e non voleva macchiarsi la coscienza facendo torto a qualcuno), ed ebbe la certezza che questi stranissimi esseri non solo sarebbero potuti riuscire pericolosi in qualsiasi momento ai lupi come lui, ma, e qui la comprensione dell’animale si arrestava irrimediabilmente, lo erano soprattutto per gli individui della loro stessa specie. E notò, per di più, che di solito non mutavano il proprio comportamento, nemmeno quello che persino a un lupo, così, a naso, appariva sconcertante e… irrazionale.
“Questi uomini non riuscirò mai a capirli davvero”, concluse allora l’animale alquanto deluso e rassegnato; “però,” si riprese subito con giusto orgoglio, “ho capito bene perché favoleggiano tanto della mia cattiveria e sono così sicuri che non perderò mai il mio vizio”.

Sirena

SirenettaIo canto
alla luce
quando affioro
dagli abissi

verso il roseo
grumo dell’alba

stanca di contare
le ore della notte

 

 

 

L’amoroso canto

Non seduttrice, ma incantata dalla luce, alla quale rivolge, come una fresca preghiera mattutina, il suo canto solitario e appassionato.