Catarsi in cucina

La poesia si nutre di memoria, se mi date spago…

CONIGLI E DESTINI

Coniglio BiancoOgni mattina il Coniglio Bianco Bisestile si alza due volte con gli occhi rossi: una, per dimenticarsi di lavare le orecchie, l’altra, per ricordarsi di lavorare; sa, infatti, correre stando fermo e stare fermo correndo.
Ogni mattina il macellaio si alza con comodo una volta sola: dopo essersi lavato gli occhi e le orecchie, dopo aver fatto i cavoli suoi, dà da mangiare al coniglio. Sa, infatti, ammazzare il tempo, e, a tempo debito, nei giorni festivi, ammazzare il coniglio.
Triste sorte spetta a colui che non trova mai il tempo di riposare!

 

ROGHI DI ROLLÈ (La Bella e la Bestia)

PolloIl filo di Arianna
intorno al Pollo
per evitare il crollo

del basso impero
spinaci per braccio di ferro
dente di leone,

il cuore è rimasto nella padella:
la cena della più bella!

Biancaneve ha più appetito
di un buon partito,
la dieta è finita:
non basta più la mela avvelenata!

Per ricucire le italiche ferite
non serve mica il topolino:
Cenerentola ha assunto un sarto
per fare il gran salto!

Alla Bella Addormentata finalmente
hanno regalato una sveglia per la mente,
per la testa ancora ci vuole:
è andata a raccogliere viole!

Pinocchio ha fatto l’intervento al naso,
ora potrà mentire senza colpo ferire:
la verità si paga a peso d’oro…

L’alloro sparge l’odore,
ma con gli oracoli non si mangia:
per trovare lavoro…

non basta il pezzo di carta!

Suona il rintocco a mezzanotte
degli stereotipi e delle false promesse,
ma Fata Letteratura gode di buona memoria:

vi sta già facendo le scarpette!

GIOCHI

Tela di PenelopeBisognerà nutrire
staccare i fili
di questo mondo che si dis-fa
angolo solare
rivoltato dall’infanzia

tenace
filo d’erba
da tavolozza di pianto:

occhi persi d’istanti
portano doni d’otri vuoti…
ore scordate
veli ai piedi di fate.

Sono rimasta la persona
a riavvolgere il nastro
sfasciare il tuo sorriso
dal filo del silenzio

senza cielo il ritorno
sentiero precipizio
di sasso cieca scia

magica per il centro del dolore.

Animali sociali (II)

Coi tempi che corrono…

UN PIEDE PER TERRA di Maria Rosa Irrera

AristogattiUna volta il Gatto con gli stivali giunse nello Zoo delle due Sicilie per partecipare al ballo di un lontano parente, ma, per disgrazia, durante la festa venne derubato di uno stivale.
Al ballo c’erano lupi che perdevano il pelo ma non il vizio, rospi che si atteggiavano a principi, porci (comodi) che si atteggiavano a uomini, volpi, avvoltoi, gatte morte… Stavano tutti una favola, solo il povero gatto non riusciva a stare con due piedi in una scarpa.
Promise allora tanto lardo a chi volesse mettere lo zampino per aiutarlo a ritrovare lo stivale, ma, poiché ormai da tempo sia le carrozze sia le zucche erano vuote, e tutto cambiava per non cambiare mai, non fu possibile né friggere il pesce né guardare la gatta né recuperare lo stivale.
Da quel giorno, come risarcimento simbolico nei confronti del Gatto, lo Zoo delle due Sicilie venne inglobato in un nuovo Stato a forma di stivale, dove si continua a rubare e la bestialità è uguale per tutti; e la terra prima occupata dallo Zoo è ancora oggi lo zoccolo duro dell’aristocrazia senza scarpe di tutti i tempi.

 

 

VELOCITÀ… DI GIUDIZIO di Maria Lizzio

TartarugaUn giorno, un leopardo giovane e sportivo, mentre faceva jogging, incontrò su un sentiero polveroso una tartaruga e, senza chiedersi doverosamente quanta strada, magari, essa avesse già percorso, pensò con superficiale commiserazione: “Com’è lenta, poverina!”.
Naturalmente, essendo molto educato, l’elegante felino si guardò bene dal far trapelare ciò che gli passava per la mente, ma ebbe la cattiva idea di confidarlo agli uomini, i quali, passando parola, riempirono il mondo del frettoloso giudizio.
Poi, però, da un paese dove la gente, non avendo nulla da fare, aveva contratto il vizio di pensare (e per questo si era fatta una testa così ), arrivò Zenone, che ci prese un gran gusto a lasciare tutti a bocca aperta, spiegando, a modo suo, agli incauti che, se ne stessero pure tranquilli e buoni, nemmeno Achille piè veloce avrebbe mai raggiunto quel guscio vivente.
E la tartaruga pensò: “Forse, sono matti questi uomini, poverini!”.
Purtroppo, nessuno mai diede alla saggia bestiola preistorica la soddisfazione di sapere che la sua supposizione, come la…freccia di un arciere provetto, aveva colto nel segno.

“Una Storia Sbagliata”: lo spettacolo “giusto” di G.G. Boncoddo

Una Storia SbagliataCome si trasforma Una Storia Sbagliata nello spettacolo “giusto”?
Hanno risposto l’autore e regista Giovanni Gionni Boncoddo e gli attori della Nuova Compagnia dei Giovani con lo spettacolo andato in scena il 10 Maggio scorso presso il Teatro Annibale Maria di Francia di Messina. O, meglio, hanno fatto le domande “giuste”: l’indagine dei commissari Volontè e Mecca intorno all’omicidio di Maria Tedesco è, infatti, ricerca di verità, ma, come sempre avviene nella “finzione” dell’Arte, la verità, e quindi la giustizia, che viene cercata non coincide col nome del colpevole, ma è attraversamento lacerante di sfumature emotive che vengono a galla attraverso il gioco di specchi dei personaggi, la raffinata maieutica dei dialoghi; è discesa in inferni interiori che vivono sulla scena la loro consistenza d’ombra… È, a prescindere dalla “soluzione” del caso, uno schiaffo alla banalità della nostra società, all’impossibilità di “incontrarsi” in modo significativo e rispettoso, all’impossibilità di dare corpo al sogno: allora, un racconto di sesso, amore e morte, diviene un accamparsi coraggioso sull’orlo di un abisso, circumnavigazione e penetrazione del caos della protagonista, la cui identità riemerge, dopo un unico intenso monologo, dalle voci dei vari testimoni; il “non sapere” dell’indagine (della poesia e della vita) fecondo, anche se maledetto, recupero di “prospettiva” contrapposto all’appiattimento del pensiero e della parola, non meno opprimente nei giorni del lampo della tragedia, della quale è la causa più profonda.

I dialoghi sono dunque riverberi di una verità emotivamente complessa e scomoda, quella del rapporto malato tra un padre e sua figlia, che si lega e intreccia ai vissuti e alle inquietudini dei vari personaggi… in particolare del commissario Volontè, vicino di casa della ragazza uccisa e poi violentata (come viene ripetuto ossessivamente a scandire lo scavo doloroso del male), chiamato prima a “interrogarsi” sul proprio sentimento (come fa ogni innamorato), e dopo a DOVER interrogare ancora se stesso, mentre interroga i testimoni, nello strazio della perdita. Ma quanto il corpo di Maria è stato ucciso e offeso, tanto le domande indecifrabili delle sue emozioni, i gusci fragili dei suoi sogni, sono vivi e, forse, solo ora possono “riposare” nella verità che lei stessa non sapeva, non poteva, pronunciare su di sé.
Dare, infine, nome al colpevole e, ancora di più, senso all’assenza di Maria, significa tendere al massimo una corda di consapevolezza tra sogno e provocazione, tra l’infantile e il sensuale; estrarre dal caos struggente della sua vita, attraverso gli scavi visionari e reali delle parole, quella radice “cosmica” che fa dire nel corso dello spettacolo che il caso non esiste

Estrarre dal caos quella catarsi, attraverso la chirurgia a cuore aperto del teatro, che scioglie in riscatto armonico le note dannate dell’esistenza, trasforma il temporale della tenerezza impossibile nella grazia densa del distacco.
E, anche se gli uomini fossero caso e caos, l’Arte teatrale rinnova la regia di senso di questa umanità per ricordare che, dal fango della violenza e della mediocrità, e oltre le care ombre dell’impossibile e dell’invisibile, è possibile uscire vivi con un frammento di verità, uno sguardo più consapevole, una nuova, più “solare”, domanda.

Aci Castello: cronaca di un desiderio (il ritorno)

C’era una volta, e per l’ennesima volta, un desiderio: i desideri sono come i fantasmi, infatti di solito dove ci sono gli uni, ci sono anche gli altri, e chi non esprime gli uni, non vede gli altri.
Una volta, ma forse anche più di una, nel Castello sul mare di un paesino senza nome, viveva un fantasma: si chiamava Amore, e oltre alla croce tipica di tutti i fantasmi, cioè quella di non essere visto (che però permetteva di fare divertentissimi scherzi), ne aveva un’altra: quella di vedere (che permetteva di fare scherzi solo a se stessi).
Egli vedeva in particolare come Tutto (e sopra, anzi sotto, Tutto le persone) in quel paesino fosse scolorito, ma, essendo un fantasma, non aveva in sé la forza per colorare le cose: vedeva in sé, infatti, la trasparenza della luce, ma non il colore… Si ricordò allora di aver sentito parlare due turisti venuti a visitare il castello a proposito di un bravissimo pittore che, oltre Tutto, vedeva i fantasmi! Proprio quello che aveva sempre desiderato! Nessun pittore, infatti, per quanto colorato, l’avrebbe potuto aiutare, se non l’avesse visto. E questo era il motivo per cui sino a quel momento era stato trattenuto dal lasciare il suo castello e compiere quel viaggio… Certo, questo ve lo sto dicendo io: il fantasma non avrebbe mai ammesso di restare nel castello per paura di non essere visto: non avrebbe mai ammesso la malinconia dei voli, che aveva imparato a chiamare “Libertà”, i capogiri nelle stanze, che aveva imparato a chiamare “sogni”, e sopra, anzi sotto, Tutto, non vi avrebbe mai mostrato quella stanza chiusa, senza nome… quella, per intenderci, dove non arrivavano le carezze… Ma tanto, dimenticavo, voi non vedete neanche le stanze aperte.Sala "Jean Calogero" - Castello di Aci Castello

Insomma, quella volta, ma forse pure quell’altra, il fantasma si decise a partire: cammina cammina, anzi vola vola, arrivò nella Villa dove viveva il Pittore… Cammina cammina, anzi vola vola, arrivò nella Vita dove villeggiava il Pittore… “E se non mi vedesse?”, pensava appena il fantasma, salutando i tanti compagni residenti che gli venivano incontro, e conquistato dal colore Tutto intorno, che completava la sua naturale trasparenza, facendola brillare ed esistere davvero. (Certo, anche lì capitavano cose senza luce e senza colore, ma erano loro a diventare sempre più invisibili fino a scomparire, non i fantasmi!).
Il fantasma era fuori di sé dalla gioia, al punto che quando, finalmente, arrivò il pittore e, guardandolo, gli chiese con estrema gentilezza: “Siete voi il fantasma venuto dal castello sul mare?”, rispose: “In carne e ossa!”. “Lo vedo, lo vedo!”, sorrise il pittore stringendogli la mano (o qualcosa del genere, non andiamo troppo per il sottile). Allora Amore spiegò al pittore di avere bisogno del suo aiuto per colorare il castello, il mare, il paesino e sopra, anzi sotto, Tutto, le persone: il fantasma avrebbe messo la trasparenza, il pittore il colore… e la trasparenza nel colore e il colore nella trasparenza avrebbero fatto la magia (o qualcosa del genere).
Il pittore voleva evitare di lasciare la sua villa e compiere quel viaggio… Nessun fantasma, infatti, per quanto trasparente, l’avrebbe potuto aiutare a togliersi le sue maschere, se le avesse viste. Certo, questo ve lo sto dicendo io: il pittore non avrebbe mai ammesso di restare nella villa per paura di essere visto: non avrebbe mai ammesso lo struggersi delle ombre, che aveva imparato a chiamare “Tempo”, le vertigini nei giardini, che aveva imparato a chiamare “giochi”, e sopra, anzi sotto, Tutto, non vi avrebbe mai mostrato quel giardino segreto, senza nome… quello, per intenderci, dove non arrivavano le carezze… Ma tanto, dimenticavo, voi non vedete neanche i giardini non-segreti.

Alla fine, quella volta, nonostante Tutto, il pittore si decise a partire: cammina cammina e vola vola, il fantasma e il pittore furono attratti lungo la via da un brillio azzurro nella terra, che spiccava sul grigio generale: “Com’è bello il tuo azzurro! Chi sei?”, chiese il pittore.
“Sono Aci, e il mio Azzurro viene dal Rosso: dopo essere stato ucciso da Polifemo accecato dalla gelosia, ho continuato a far scorrere il mio amore: ora il mio unico desiderio è raggiungere il mare per riabbracciare Galatea.”
“Allora unisciti a noi: stiamo andando verso il castello sul mare che già si comincia a intravedere: il tuo azzurro vivo ci farà da guida”…
Aci disse di sì con naturalezza: conosceva sia Amore sia Morte, sapeva bene chi dei due fosse il più forte, e quindi non aveva paura di nulla. (E questo ve lo dico sempre io perché a lui non piaceva vantarsi).

Cammina cammina, vola vola e scorri scorri, i tre arrivarono finalmente al castello sul mare: Aci inazzurrò il mare candido riabbracciando Galatea, il fantasma Amore (che ogni tanto a qualcuno capita di vedere) illimpidì il cielo, e il pittore consumò tutti i colori per le cose che si trovavano tra il mare e il cielo, castello compreso… per le persone la storia è un po’ più complicata, ma qualche pennellata arrivò anche a loro.
Dopo una giornata di intenso lavoro, quando il rosso cominciava a venire nell’azzurro, Amore disse ai suoi due Amici: “Vediamo chi arriva prima all’orizzonte”… e iniziò a volare; Aci lo seguì subito scorrendo più veloce che poteva, il Pittore si mise a inseguirli di slancio e di corsa… dimenticandosi di non sapere né volare né nuotare.

Non si è mai capito chi vinse quella gara innamorata e indiavolata, e per questo motivo, nel luogo colorato da Aci, da Amore e dal Pittore, che dal quel giorno venne chiamato Aci Castello, il mare e il cielo sembrano Tutt-ora fusi nell’Azzurro, ed è impossibile vedere l’orizzonte… che, del resto, è a sua volta un’illusione…