L’uomo, si sa, è un animale… sociale: il gioco delle parti è spesso un doppio gioco, e l’animale ha, come minimo, due anime…
IL GALLO ASCETA di Maria Rosa Irrera
Il gallo asceta non è certo un brutto anatroccolo, e conosce i suoi polli; vive con due zampe in una scarpa, a metà strada tra il pollaio e il monte.
Non sta così lontano dal pollaio da non mischiarsi talvolta agli schiamazzi; non così lontano dal monte da non captare il canto degli uccelli. Infatti, in quanto gallo, necessita di un luogo in cui sentirsi importante: nel pollaio, tra galline vecchie e nuove, tutto fa brodo; ma, in quanto asceta, necessita di un luogo in cui sentirsi superfluo: alzando la cresta, non si tocca il cielo.
L’ebbrezza del pollaio col desiderio del monte: ecco trovato il Sommo Bene!
LA DOMENICA DELLA VOLPEdi Maria Lizzio
Ha finito di mangiare l’ultima gallina. È ora di ripulirsi i denti e farsi bella. Uscirà per una passeggiata salutare, incontrerà altre volpi perbene, amiche sue, per quattro chiacchiere innocenti e, soprattutto, entrerà penitente in una chiesa, a svuotare il sacco dei peccati della settimana.
Fa così da una vita, con scrupolo immutato, ogni domenica mattina.
SIMIA PSYCHOLOGIAE CULTRIXdi Maria Lizzio
Quaedam nocte dieque ardenter simia motus
investigabat sedulitate animi;
esse sibi mentem sanam doctamque putabat,
vere autem miserae dirum erat… speculum.
LA SCIMMIA PSICOLOGA
La scimmia trafficava giorno e notte
con zelo, per scrutare i sentimenti;
s’era convinta d’essere una mente,
ma s’ingegnava… d’evitar gli specchi.
Sulla scacchiera sociale, ci sono partite di civiltà che si giocano con le parole…
ORIENTAMENTO PROFESSIONALE di Maria Rosa Irrera
Caro studente,
se scrivi in modo mediocre, ma possiedi un’incrollabile fede nel fatto di saper scrivere, se i vari errori di ortografia che ancora commetti sono dei refusi…, se, oscillando tra il banale e il patetico, pratichi anestesie concettuali fatali per l’organismo della lingua…, se, per raccontare il peggio della realtà, trovi sempre il modo peggiore (e anche per raccontare il meglio)…, se ignori la differenza tra un riassunto e una recensione, e, che l’Autore sia vivente o meno, trovi sempre il modo di ucciderlo tu, …
allora, sei pronto per intraprendere la carriera giornalistica!
(dieci anni dopo)
… Se la presenza di un politico è sempre “la cosa più importante”…, se “dare la notizia” non è la parte più generosa del tuo lavoro…, se “non ci sono più le mezze stagioni”, d’estate fa caldo e d’inverno fa freddo, …se “contano i fatti, non le parole”…
perché non cambi mestiere?!
SCACCHI MATTIdi Diego Caiazzo
Quella del giornalista è una professione che ha i suoi rischi. Certo tutto sta a saperseli scegliere. Ci sono quelli che rischiano la vita e a volte ce la rimettono, come ad esempio toccò a Giancarlo Siani; ci sono quelli che rischiano di vedere innalzarsi pericolosamente il livello del loro colesterolo a causa di cene più o meno eleganti cui volentieri partecipano. Alcuni di essi si ergono a maestri di vita, ma non tutti ne hanno i titoli. Esempi ce ne sono tanti. Eccone uno. Adriano Sofri, lunedì 29 aprile 2013, su La Repubblica, conclude il suo editoriale sull’attentato a due carabinieri davanti a Palazzo Chigi, durante il giuramento del governo Letta, dicendo che «se gridi ai “politici”: “Siete tutti morti. Sei un morto che cammina”, non stai certo sobillando ad ammazzarli. Ma la volta che uno di loro sia morto e non cammini più, ci resterai male». «Chissà se quarant’anni fa lui è stato male…» è il commento di Libero. Mi costa, ma devo dire che sono d’accordo con Libero, e non capita praticamente mai… Ha la memoria corta, Sofri. Chi ha la mia età ricorda benissimo la violenta campagna di stampa di LOTTA CONTINUA, che precedette l’omicidio Calabresi. Senza voler entrare in argomento, mi pare che un minimo di buon senso gli consiglierebbe il silenzio. Ma no, scrivere su un giornale dà una sorta di ebbrezza, pare che le parole stampate abbiano un’autorità intrinseca, che prescinde da quanto si afferma.
“Letteratura da corsa”, così Clark Gable definisce gli articoli di giornale in un delizioso film del 1958 con Doris Day, Teacher’s Pet, in italiano Dieci in amore, diretto da George Seaton. Il giornalista deve avere il dono della sintesi. Ma la prima caratteristica di uno scritto che si renda pubblico credo sia l’esattezza. Invece sciatteria e superficialità spesso si annidano in particolari apparentemente innocenti. Alcuni giornalisti, soprattutto, scrivono di quello che non sanno e sparano amenità. Non si documentano. Faccio un piccolo esempio. Su un importante quotidiano negli anni novanta c’era una rubrica scacchistica. Più volte trovai scritto: “Il cecoslovacco Short” e “L’inglesina Pia Cramling”. Ora, negli scacchi agonistici, Short all’epoca era il numero 2 del mondo, la Cramling era una delle giocatrici più forti, sempre in campo mondiale, a livello femminile. Bene: il primo era inglese, la seconda svedese! Neanche la pena di controllare… Come scrivere “il brasiliano Maradona!” Tutto questo mi fa pensare a un aforisma che mi pare di aver letto da qualche parte e che dovrebbe fare più o meno così: “Il giornalista è uno che fa del dilettantismo una professione”. Non so chi l’ha detta, forse me la sono inventata io, ma mi piace pensare di no, che sia frutto dell’autoironia di uno dei grandi di questo mestiere… Che, se praticato con umiltà e passione, rispetto della verità e dignità, è quello che distingue una società libera da una comunità di servi.
Paolo, non accenderò il tuo sguardo
su questo vuoto bianco
come labile lume sul rito della morte:
la memoria non ha perso
il lampo della ferita
nell’estate bambina.
Distanza
Tra commemorazione e memoria c’è la stessa distanza che divide icona e volto: una distanza di verità e umanità che, invece, può unire il dramma di una Terra e la lacerazione di una bambina che, abitandola, ne comincia a intuire e nominare il carico di dolore sugli sfondi azzurri.
Versi spettrali
nelle ore smaltate:
la tenerezza vuota
a braccia aperte.
Sono un mondo
di sangue e stelle
da stordire d’azzurro
(la buca era così profonda
che è tutt’uno tornare bambina
e diventare donna).
La vitalità custodita della Villa
fra pensieri e alberi
forme antiche sotto teli di palpiti:
lo trovai in un cassetto e dentro
una metafora chiamata “Sicilia”,
negli scrigni contrari del cuore
una, nessuna e milleuna.
(Volli essere sua
da quando strappai in fretta il primo fiore
dal mio giardino di parole,
e su quello che lo divide dalla mia pelle
nacque un prato di stelle).
E si a notti sciarriata
cala ciauru mutu
supra i nustri cunti
e non sacciu a unni si[1]
Se i sogni scendono
e sciolgono e slacciano
senza i versi
e non so dove sei…
[1] E se la notte bisticciata/ fa scendere profumo muto/ sopra i nostri racconti/ e non so dove sei
Viva a parole
La parola poetica vive e fa vivere: apre vaste e contro-verse arcate d’Essere, si fa tempo-luogo d’incontro e racconto… (meta)teatro di ricchezza conflittuale, richiami magici, intense sintonie isolane.