La stanza di Virginia

Virginia Woolf
©G. C. Beresford, 1902

Cara Virginia,
ci siamo incontrate nel punto di sutura tra dolore e gioia, dove il delicato peso del pensiero irradia pulviscolo di vita, dove la matassa distratta dei giorni si fa concentrazione inesplicabile d’armonia, dove il rito delle cose si accende… e ombre si rompono dentro passi.
Difficile dire se fu dialogo sororale o fuga di vele… se nella geometria deliziosa e dannata del giorno le pagine riempiono le mani come mazzi di rose, se dalla stanza come un sottile miracolo scorre linfa di secoli, se la danza del sole accompagna il fiorire dei libri…
Tanto più profondo è il baratro quanto più diviene lucido lo specchio… il passo segnato da ferite acquista un’impalpabile leggerezza di spume e le parole si aprono come scrigni di rifrangenze. Aria, polvere, colore… La vita che sembrava contratta si rivela in una pausa di vento, fuggono le forme in fiati di frase e il giorno, con la sua festa malinconica, mormora mezze meraviglie e pianta misteri di felicità. La morte piega lo stelo e frena l’onda, rimandando la sua vittoria di tempesta… ora alita un’attesa, si tesse una tela.
Nastri d’ore, gemme di momenti… Conosci il segreto di quell’incanto dolente che chiamiamo “vita” e percorriamo, decise e fragili? Conosci lo stupore che bagna le rose… e la luce? Le rive ritagliate da ricordo, le corse dei giorni e le isole dei secondi? La pagina rivela le aritmie del tempo… tinte tagli gomitoli di anni… srotolando il sentiero degli sbagli affiora una striatura d’infinito, un’argentea ironia. Voglio ora sostare nel battito della tua visione… quotidiana e magica, tersa e abissale, universale e naturalmente femminile… come la fatica di essere… “donna” e “scrittrice”.
Difficile spiegare come le voci dentro i libri accompagnino, e a volte persino sostengano, il dondolio delle ore, il tumulto del dolore, radici invisibili che ci slanciano verso la Bellezza. Dentro i passi di oggi si muovono i tuoi astri… la vita ri-appare dalle spume dei tuoi sguardi… l’amarezza si fa sorpresa, l’angoscia epifania.
Hai detto la sublime meschinità dello stare al mondo cingendo di colori l’apparire delle cose, annegando le impressioni nel fondo buio della pagina; morendo una volta e vivendo sempre.
Nell’onda che sigilla la tua stella, nell’eco che dall’onda… rigenera la parola.