Il tuo paese (a mia madre)

Ulivi
©Tonino Giampà

Qui
m’incanto di te

se mi raccontano
della tua infanzia

gli ulivi

che baciarono
i tuoi piccoli sogni.

Tu rispondevi
al canto delle cose

e non sapevi

quanto bruciasse
la terra
sotto i tuoi sandali leggeri

 

 

Infanzia in canto

La lirica annoda nel cerchio di un’intuizione amorosa luoghi e tempi… l’ignoto si fa dipinto, il discorso danza. (M.R.I.)

Se un mattino di Marzo a Vizzini…

VizziniI luoghi hanno non solo un nome, ma anche un’anima, e conoscerli vuol dire esattamente scoprire quest’anima e sentirne la forza vitale.
Se il luogo è Vizzini, l’anima non può che esserne la fantasia realistica e dolente di Giovanni Verga.
Il viaggiatore attento, percorrendo le strade del paese, sente risuonare dentro di sé le voci dei personaggi verghiani e resta come avvinghiato alle loro speranze e fallimenti, passioni e miserie; sente su di sé il peso del loro destino amaro e ineluttabile: ne riscopre, insomma, l’universale umanità.
C’è il vicolo dove si consumano le passioni che inchiodano, seppure in modo diverso, i protagonisti della Cavalleria rusticana: la casa di Lola, che il destino ha voluto troppo vicina a quella di Santuzza; quella chiesa della mala Pasqua, dove nessuna resurrezione è possibile per questi dannati della terra, e, sulla stessa piazza, l’osteria della povera gnà Nunzia, madre sfortunata di Turiddu, il giovane innamorato che paga con la vita, laggiù, alla Canziria, la sua passione e la sua audacia.
A Vizzini matura la storia di un altro indimenticabile personaggio verghiano, che comincia da vincitore e finisce, inesorabilmente, vinto: Gesualdo Motta, mastro e don, tristemente schiacciato nell’ambiguità beffarda del suo destino di uomo straricco ma infinitamente povero, come è sempre chi tradisce i sentimenti per un bene materiale.
Nelle strade di Vizzini, poi, si può assaporare la fortuna di incontrare i personaggi verghiani «in carne ed ossa», grazie agli attori dell’Associazione Teatro Skené che, all’interno del Parco letterario «G. Verga», rappresentano le opere dello scrittore sul palcoscenico privilegiato dei luoghi che hanno ispirato la sua fantasia.
Così, in una ventosa mattinata quasi primaverile, è possibile risentire l’urlo che annuncia il compimento del destino di Turiddu: «Hanno ammazzato compare Turiddu!»; o imbattersi in mastro-don Gesualdo, più vivo e sconvolto che mai, davanti al palazzo Trao che sta andando in fiamme, mentre i vicini bussano urlando al portone, per salvare i proprietari in pericolo: «Don Ferdinando! Don Diego!».
E lo spettatore, percorso da un brivido, che è dono delle grandi emozioni, sente improvvisamente cancellata ogni distanza dai personaggi e vive come «normale» questa felice vicinanza: insomma, tocca con mano la certezza della loro umanissima immortalità.

Per Elisa

I cigni selvatici
©Svend Otto S.

La partitura triste
nell’ala di dolore

Elisa non riuscì a finire…

e appese il pianto
a un osso di luna

tra le reti dolenti
disarmava il sortilegio

nel dettato dei colori

 

 

 

Reti e Versi

Il lavoro silenzioso e solitario di Elisa, nella fiaba di Andersen, diviene metafora della scrittura, che non può mai “coprire” per intero l’esperienza troppo umana del dolore. Ma l’ “incompiuto”, di volta in volta cupo, umoristico, fatato, del vissuto si trasforma, sotto l’ala della poesia, in occasione di luminosa sintesi simbolica.

La stanza di Virginia

Virginia Woolf
©G. C. Beresford, 1902

Cara Virginia,
ci siamo incontrate nel punto di sutura tra dolore e gioia, dove il delicato peso del pensiero irradia pulviscolo di vita, dove la matassa distratta dei giorni si fa concentrazione inesplicabile d’armonia, dove il rito delle cose si accende… e ombre si rompono dentro passi.
Difficile dire se fu dialogo sororale o fuga di vele… se nella geometria deliziosa e dannata del giorno le pagine riempiono le mani come mazzi di rose, se dalla stanza come un sottile miracolo scorre linfa di secoli, se la danza del sole accompagna il fiorire dei libri…
Tanto più profondo è il baratro quanto più diviene lucido lo specchio… il passo segnato da ferite acquista un’impalpabile leggerezza di spume e le parole si aprono come scrigni di rifrangenze. Aria, polvere, colore… La vita che sembrava contratta si rivela in una pausa di vento, fuggono le forme in fiati di frase e il giorno, con la sua festa malinconica, mormora mezze meraviglie e pianta misteri di felicità. La morte piega lo stelo e frena l’onda, rimandando la sua vittoria di tempesta… ora alita un’attesa, si tesse una tela.
Nastri d’ore, gemme di momenti… Conosci il segreto di quell’incanto dolente che chiamiamo “vita” e percorriamo, decise e fragili? Conosci lo stupore che bagna le rose… e la luce? Le rive ritagliate da ricordo, le corse dei giorni e le isole dei secondi? La pagina rivela le aritmie del tempo… tinte tagli gomitoli di anni… srotolando il sentiero degli sbagli affiora una striatura d’infinito, un’argentea ironia. Voglio ora sostare nel battito della tua visione… quotidiana e magica, tersa e abissale, universale e naturalmente femminile… come la fatica di essere… “donna” e “scrittrice”.
Difficile spiegare come le voci dentro i libri accompagnino, e a volte persino sostengano, il dondolio delle ore, il tumulto del dolore, radici invisibili che ci slanciano verso la Bellezza. Dentro i passi di oggi si muovono i tuoi astri… la vita ri-appare dalle spume dei tuoi sguardi… l’amarezza si fa sorpresa, l’angoscia epifania.
Hai detto la sublime meschinità dello stare al mondo cingendo di colori l’apparire delle cose, annegando le impressioni nel fondo buio della pagina; morendo una volta e vivendo sempre.
Nell’onda che sigilla la tua stella, nell’eco che dall’onda… rigenera la parola.

Luna e Nulla (a Lucio Piccolo)

Villa Piccolo
©Sebastiano Irrera, 2014

Abito il bordo di un canto
lontano lievito di Luce
il nulla innamora il giardino
di un’acrobazia chiara

richiama

cose da risacche d’invisibile
in aliti di cielo

finché tutto si stringe in limite di luna
Tu Sei

fraterno infinito e nulla
allargato a favola

 

 

A bordo canto

Il verso si fa privilegiata e cara sponda di visione, miccia di dialogo, ascolto acceso di forme, aprirsi inesauribile e intimo di vita segreta di cose.